Neanche quest’anno gli abitanti del Sud Sudan riusciranno ad andare a votare. Le elezioni che dovevano svolgersi il prossimo dicembre, le prime da quando il paese ha ottenuto l’indipendenza nel 2011, sono state posticipate di due anni. Il governo di Juba ha annunciato la sua decisione il 13 settembre, motivandola con la mancanza di preparazione nell’organizzazione dello scrutinio e con la necessità di fare prima dei progressi su alcuni punti previsti dall’accordo di pace del 2018, che ha riportato una calma relativa nel paese dopo lo scoppio di un conflitto interno. Questi punti riguardano in particolare l’unificazione delle forze armate e la redazione di una costituzione permanente per il paese, scrive la giornalista Florence Miettaux su Rfi.
La decisione è stata “una delusione” per i paesi e le organizzazioni garanti della pace in Sud Sudan (Regno Unito, Stati Uniti, Norvegia, Paesi Bassi, Canada, Francia, Germania e Unione europea), ma non ha sorpreso gli osservatori. Come ha fatto notare su The Conversation la ricercatrice Abigail Kabandula dell’università di Denver, negli Stati Uniti, sotto vari aspetti il paese non è ancora in grado di organizzare un voto equo e libero perché gli ostacoli finanziari, politici e legali sono ancora tanti. Un’elezione dai risultati facilmente contestabili avrebbe potuto portare il paese verso un nuovo conflitto, scrive Kabandula. Ma neanche l’ipotesi del rinvio mette al riparo dal rischio di un riaccendersi delle violenze.
Il paese sta ancora pagando le conseguenze della sanguinosa lotta scoppiata alla fine del 2013 all’interno della leadership del paese appena nato, cioè tra i sostenitori del presidente, Salva Kiir, di etnia dinka, e del vicepresidente, Riek Machar, di etnia nuer. Entrambi provengono dall’Spla, il movimento armato che ha condotto la lotta per l’indipendenza da Khartoum e, attraverso la loro rivalità, continuano a definire gli schieramenti politici del paese.
La guerra civile si è protratta per almeno cinque anni tra l’indifferenza della comunità internazionale. Secondo alcune stime, potrebbe aver causato 400mila morti, oltre che una carestia e migrazioni di massa. Non solo: il conflitto ha paralizzato le prospettive di crescita del paese ricco di petrolio, che avrebbe sicuramente potuto approfittare di questa risorsa per svilupparsi. Invece, come mostra un rapporto dell’analista Joshua Craze per la World peace foundation, si è installata “un’economia di guerra malsana”, in cui le élite cercano di comprarsi i favori di vari attori politici, attraverso la concessione di incarichi e licenze, e in cui le popolazioni sono in un certo senso “saccheggiate”. Le Nazioni Unite calcolano che nove milioni di persone, il 73 per cento della popolazione, abbiano bisogno di assistenza umanitaria quest’anno.
Nella ricerca di stabilità, la situazione regionale non aiuta. Dopo lo scoppio della guerra in Sudan, nell’aprile 2023, 330mila profughi sono arrivati nel paese, aggravando il problema dell’accoglienza per un governo a corto di finanze. Si sono aggiunte al mezzo milione di persone che erano tornate in patria dopo la firma dell’accordo di pace sudsudanese nel 2018. L’agenzia dell’Onu per i rifugiati, Unhcr, calcola che nel paese ci siano anche due milioni di sfollati interni che vivono nei campi profughi e sono in attesa delle condizioni giuste per poter fare ritorno in sicurezza nelle loro comunità d’origine.
Anche la crisi climatica ci mette il suo carico. Per il sesto anno consecutivo il Sud Sudan ha subìto inondazioni devastanti. Le persone colpite sono 735mila, dicono i dati dell’Onu, e il picco delle piene dei numerosi fiumi che attraversano il paese è atteso per ottobre.Secondo un rapporto della Banca mondiale pubblicato nel 2023, il Sud Sudan è uno dei paesi più vulnerabile e meno preparati ai cambiamenti climatici, anche perché gran parte della sua popolazione è esposta alle inondazioni fluviali. In particolare, lo sono i due milioni di abitanti del Sudd, la più grande zona umida dell’Africa, nella pianura alluvionale del Nilo. La regione potrebbe diventare inabitabile e il Sud Sudan potrebbe avere “il primo esempio di popolazione sfollata in modo permanente a causa dei cambiamenti climatici”, sostengono alcuni studiosi.
Sfide di questa portata richiedono un governo legittimo, competente e capace, che rappresenti tutti i suoi cittadini e sia in grado di rispondere alle loro enormi necessità.
Questo testo è tratto dalla newsletter Africana.
Iscriviti a Africana |
Cosa succede in Africa. A cura di Francesca Sibani. Ogni giovedì.
|
Iscriviti |
Iscriviti a Africana
|
Cosa succede in Africa. A cura di Francesca Sibani. Ogni giovedì.
|
Iscriviti |
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it