Il calo della concentrazione di particolato nell’atmosfera dovuto ai limiti imposti negli ultimi decenni da molti paesi sulle emissioni delle industrie, delle centrali elettriche e dei trasporti è stato individuato come uno dei fattori che, insieme al cambiamento climatico e agli effetti del Niño, possono spiegare perché nel 2023 e nel 2024 l’aumento delle temperature globali ha superato tutte le previsioni.
La riduzione delle emissioni di anidride solforosa e inquinanti prodotte dalla combustione di carbone, gasolio e altri idrocarburi ha evitato milioni di morti premature per cancro e patologie respiratorie, e ha alleviato alcuni gravi problemi ambientali, come le piogge acide. Ma queste particelle hanno anche l’effetto di riflettere verso lo spazio una parte dei raggi solari, limitando la quantità di energia che raggiunge la Terra e quindi il riscaldamento dell’atmosfera.
Ora due nuovi studi sembrano confermare il ruolo della diminuzione di questi inquinanti nell’accelerazione del cambiamento climatico. Il primo, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, suggerisce che le drastiche misure adottate dalla Cina per migliorare la qualità dell’aria tra il 2006 e il 2017, riducendo del 70 per cento le emissioni di anidride solforosa, abbiano contribuito all’ondata di caldo marina che a partire dal 2013 ha colpito l’oceano Pacifico settentrionale al largo dell’Alaska.
Secondo le simulazioni dei ricercatori il calo delle emissioni cinesi avrebbe provocato un aumento della temperatura sulle coste dell’Asia, innescando un effetto domino nella circolazione atmosferica sul Pacifico che avrebbe aumentato del 30 per cento l’intensità delle ondate di caldo. Questo fenomeno, soprannominato blob, ha determinato un aumento della temperatura delle acque fra 3 e 6 gradi ed è durato fino al 2016, provocando gravi danni all’ecosistema oceanico. Uno studio recente stima che circa settemila megattere possano essere morte di fame a causa della minore disponibilità di cibo.
Un altro studio, condotto dai ricercatori dell’Eth di Zurigo, in Svizzera, ha confrontato le temperature estive rilevate in Europa tra il 1980 e il 2022 con le previsioni dei modelli climatici, scoprendo che questi ultimi avevano sottovalutato regolarmente il riscaldamento. Quando hanno incluso il calo delle emissioni di aerosol nelle simulazioni, i dati sono invece risultati in linea con quelli osservati.
Dato che i modelli attualmente usati per simulare l’andamento del clima continuano a non tenere conto di queste variazioni, i ricercatori svizzeri hanno concluso che nel 2100 le temperature estive in Europa potrebbero superare di più di due gradi le previsioni. La differenza potrebbe essere ancora più grande durante le ondate di caldo, quando il cielo tende a essere più limpido e la quantità di luce solare maggiore.
Questo testo è tratto dalla newsletter Pianeta.
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