Quest’estate ho corso davanti a un panorama mozzafiato. Ero a Siena, in cima a una fortezza del sedicesimo secolo, mentre il sole al tramonto illuminava i tetti di un giallo vivo. Ma per quanto fosse una bella sensazione non riuscivo a togliermi dalla testa l’idea che, in uno certo senso, quella corsa valesse meno delle altre.
Il motivo? Non ero connessa al wifi, quindi non potevo tracciare il percorso con l’app che uso di solito, Runkeeper. Senza l’app non potevo sapere se stavo rispettando la velocità e la distanza prevista dal mio programma di allenamento alla maratona. Inoltre, non vedendomi collegata, gli amici che mi seguono su Runkeeper avrebbero pensato che stessi battendo la fiacca: so che è stupido pensare a queste cose di fronte a tanta bellezza, ma non sono l’unica ad avere questo tipo di ansie.
Chiunque abbia notato il boom di foto su Facebook che mostrano domeniche mattina sudate, sa bene che che la maratona sta vivendo un momento di grande popolarità.
Negli anni settanta, erano circa 25mila le persone che partecipavano alle maratone negli Stati Uniti. Lo scorso 1 novembre il numero di partecipanti alla maratona di New York era quasi il doppio, ed è solo una delle oltre 1.200 maratone organizzate negli Stati Uniti ogni anno.
Non credo di essere l’unica che continua a correre intorno all’isolato per arrivare a otto chilometri tondi, invece di sette e mezzo
Secondo l’organizzazione Running Usa, l’anno scorso le persone che hanno completato il tracciato di 42,195 chilometri, la lunghezza ufficiale delle maratone, hanno raggiunto il numero record di 550.637. L’organizzazione ha anche scoperto che il 52 per cento dei podisti misura le prestazioni con strumenti dotati di gps, come smartphone, fitness tracker oppure orologi progettati per la corsa. Tutto questo probabilmente ha avuto un ruolo nel nuovo entusiasmo nei confronti della corsa.
La semplicità con cui si misurano dati e percorsi ha avvicinato molte persone a questo sport e le ha convinte a continuare a praticarlo, permettendo a chiunque di osservare gli effetti sul corpo. App e strumenti di questo tipo non solo permettono alle persone di correre meglio, ma le rende anche più motivate, il che è probabilmente l’ostacolo principale quando si vuole praticare uno sport fuori dell’orario di lavoro.
Le cose sono cambiate in fretta. Il primo orologio dotato di gps e rivolto ai podisti ha poco più di dieci anni. È stato introdotto nel 2003 dalla Garmin, un’azienda che si occupa di tecnologie gps che all’inizio sviluppava prodotti per l’esercito. Nel 2006, la Nike ha lanciato il Nike+iPod sports kit, che misurava l’andatura e la distanza percorsa dai podisti tramite un sensore installato all’interno di una scarpa Nike collegata a un ricevitore connesso a un iPod.
Il suo grande successo è stato però presto eclissato dall’arrivo dell’iPhone: quando nel 2008 è nato l’App store, MapMyRun era una delle app principali e praticamente chiunque ha potuto accedere a dati che prima erano disponibili solo agli atleti professionisti.
“La tecnologia per misurare la corsa si è sviluppata a gran velocità negli ultimi 25 anni”, dice Bryan Boyle della rivista Runner’s World. “Prima, per calcolare la distanza percorsa, si usava il contachilometri dell’automobile. E forse uno Swatch per misurare il tempo”. Oggi le app gratuite danno ai podisti informazioni sull’andatura, la distanza percorsa e l’altitudine. Con uno smartwatch possono anche conoscere il numero e la lunghezza di ogni passo, il battito cardiaco, l’ossigeno che consumano al minuto o l’oscillazione verticale.
Tutte queste informazioni funzionano da motivazione o ricompensa per chi corre. “Una cosa è sentire l’incoraggiamento di un allenatore, ma vedere con un colpo d’occhio i progressi fatti durante settimane e mesi di corsa è ancora meglio”, spiega Boyle. “I chilometri si accumulano e la velocità aumenta”.
Correre va oltre le semplici misurazioni. Aria fresca. Spirito di gruppo. Viaggio. Sentirsi meglio, insomma
In alcuni casi queste informazioni fanno la differenza tra il continuare un faticoso programma di allenamento alla maratona o smettere di correre. “Hanno una funzione autorinforzante”, sostiene Michael Sachs, psicologo dello sport e professore alla Temple university. “Hai a disposizione grafici e dati che mostrano i tuoi progressi. Essere al passo con gli obiettivi che ti sei imposto aumenta l’autostima e ti spinge a continuare a correre”.
Sapere che potrò vedere i dati che confermano i miei progressi, e il fatto che anche altre persone potranno vederli è stato spesso l’elemento che che mi ha spinto a uscire di casa. Non credo di essere l’unica che continua a correre intorno allo stesso isolato per arrivare a otto chilometri tondi, invece di sette e mezzo.
Molte app sono progettate per il mercato, in rapida espansione, dei nuovi podisti: l’andatura media tra i cinquanta milioni di utenti di Runkeeper è di quasi nove chilometri orari, il che in una maratona si trasformerebbe in un tempo appena inferiore alle cinque ore.
“Il punto è prendere lo sport che gli irriducibili conoscono e amano, e confezionarlo in modo da renderlo alla portata di tutti”, dice Jason Jacobs, amministratore delegato di Runkeeper. Oltre a misurare le informazioni della corsa, l’app offre piani e promemoria d’allenamento, consigli e premi per chi ottiene dei primati personali. Sfrutta i dati raccolti dai podisti per spingerli a continuare a correre e, naturalmente, a usare l’app più di frequente. “Si tratta di dargli una pacca sulle spalle quando si comportano bene e un piccolo calcio nel sedere se battono la fiacca”, dice Jacobs.
Quest’anno la maratona di San Francisco si è associata a Runkeeper, al contapassi Fitbit e alla app di fitness FitStar. “Le tecnologie mobili e indossabili sono una delle cose più elettrizzanti che esistono oggi nello sport”, dice Michelle LaFrance, la direttrice del marketing della maratona di San Francisco.
Secondo lei la dimensione sociale di questa tecnologia, come la possibilità di osservare l’attività degli amici su Runkeeper e di rendere visibile la propria, sta spingendo sempre più persone verso la corsa. “Quando misuri la corsa e poi condividi i dati sui social network, diventi una forza d’ispirazione per gli altri”, sostiene. “Secondo noi c’è un forte legame tra i dati che i podisti condividono e il numero di persone che riescono a convincere a correre insieme a loro”.
Secondo Running Usa, quasi l’80 per cento dei podisti ha postato foto di corsa, mentre il 62 per cento ha condiviso i propri risultati sui social network.
Anche se la tecnologia migliora l’esperienza della corsa, molti podisti esperti sostengono che la cosa più bella di questo sport è la possibilità di disconnettersi per un po’. Correre offre la possibilità di uscire e staccarsi dal computer per un’ora o due. “È un’esperienza che va oltre le semplici misurazioni”, aggiunge Boyle. “Aria fresca. Spirito di gruppo. Viaggio. Sentirsi meglio, insomma”.
Come ogni buona idea, la misurazione della corsa ha già conosciuto i primi contraccolpi, racchiusi nell’espressione “correre nudi”, ovvero senza alcuna tecnologia. Molti podisti lasciano a casa telefoni e orologi per sintonizzarsi meglio con il corpo. O per fare un esempio, godersi meglio il paesaggio della Toscana. Per quello non c’è app che tenga.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta su Theatlantic.com. Clicca qui per vedere l’originale. © 2015. Tutti i diritti riservati. Distribuito da Tribune Content Agency
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