L’arrivo di Narendra Modi a Mosca l’8 luglio – la prima visita del premier indiano in Russia dall’inizio della guerra in Ucraina – non poteva capitare in un momento meno opportuno. O forse no. Perché il fatto che poche ore prima del suo atterraggio le forze armate russe avessero lanciato un massiccio bombardamento su diverse città ucraine uccidendo decine di persone, colpendo un ospedale pediatrico di Kiev e provocando lo sdegno dei governi occidentali esemplifica perfettamente la posizione ambigua e sempre meno sostenibile di New Delhi rispetto al conflitto e il dilemma di Stati Uniti, Europa e dei paesi della cosiddetta sfera democratica che insistono nel definire l’India un’alleata nello sforzo collettivo di contenere la Cina, sempre più influente nella regione dell’Indo-Pacifico.

All’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina, New Delhi si era distinta rispetto agli altri paesi democratici astenendosi dal condannare ufficialmente Mosca in nome della tradizione del non allineamento risalente al periodo della guerra fredda. In realtà, più che il ricordo dell’antimperialismo e del rifiuto di schierarsi con uno dei due blocchi egemoni, quello che oggi sta più a cuore all’India è salvaguardare i suoi interessi economici e continuare a comprare dalla Russia armi e greggio a buon mercato. Una buona dose di pragmatismo unita però alla volontà di presentarsi come un attore responsabile e affidabile per l’occidente e solidale con il cosiddetto “sud globale”.

Una “potenza sud-occidentale”, come ha dichiarato il ministro degli esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar, “che ‘parla’ a entrambi i gruppi” con molteplici vantaggi, scrive Anna Caffarena, docente di relazioni internazionali all’Università di Torino, nel suo intervento contenuto nel rapporto di Twai Il nuovo ruolo dell’India nel sistema internazionale e le implicazioni per l’Italia, curato da Giuseppe Gabusi. Un simile posizionamento, continua Caffarena, “consente innanzitutto all’India di accreditarsi come un paese capace di incidere sull’ordine con la sua iniziativa e di agire, almeno potenzialmente, con il sostegno sia dell’Occidente sia del Sud Globale”, proponendosi come ponte tra i due mondi.

In dieci anni di governo Modi ha portato avanti una politica estera proattiva che, unita alla riconfigurazione degli equilibri mondiali indipendenti da New Delhi, ha contribuito a rendere l’India una protagonista sulla scena globale. I motivi dietro tanto spirito d’iniziativa, però, rivelano una debolezza intrinseca all’entusiasmo diplomatico indiano.

Come scrive Siddharthya Roy su The Diplomat, “il passaggio più forte nella politica estera di New Delhi sotto Modi è il suo allontanamento dal tradizionale approccio alle relazioni internazionali come distinte dalla politica interna”. Modi ha regolarmente usato i successi diplomatici del suo governo come leve per rafforzare il suo status a livello nazionale. In questo la sezione dedicata ai social network del suo partito, il Bharatiya janata party, ha svolto un ruolo fondamentale nell’orientare l’opinione pubblica a sostegno della politica estera del suo governo. Ma l’uso della propaganda come strumento in questo campo, continua Roy, ha indebolito la statura globale del paese.

Da sapere
Semplice e cinico
  • Il summit tra Modi e Putin non è stato del tutto una cattiva notizia per Washington, Foreign Policy
  • Perché Modi lecca i piedi a Putin? Semplice e cinico: Cina e petrolio, The Guardian

Questo testo è tratto dalla newsletter In Asia.

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