Il giorno della liberazione – o, come qualcuno ha suggerito, della distruzione – è arrivato, ha colpito un po’ tutto il mondo in maniera indiscriminata (ne parla in modo esteso la newsletter Economica di Alessandro Lubello) e in modo particolarmente duro i paesi del sudest asiatico: dazi del 49 per cento imposti alla Cambogia, 47 per cento al Laos, 46 per cento al Vietnam, 36 per cento alla Thailandia, 32 per cento all’Indonesia, 24 per cento alla Malaysia e 17 per cento alle Filippine.
“Nel suo tentativo di mettere all’angolo la Cina, Trump con i nuovi dazi punirà alcune delle economie asiatiche più vulnerabili”, scrive su Asia Times Nigel Green in un’analisi puntuale dei danni collaterali della scellerata politica economica statunitense. “Mentre i titoli dei giornali si concentrano sulla Cina, gli aumenti tariffari più duri si sono abbattuti su Phnom Penh, Vientiane, Yangon e Hanoi. Washington sta sparando sulla catena di approvvigionamento della Cina, ma sono i paesi asiatici più poveri che sta colpendo. Una politica che minaccia di bloccare le linee vitali dell’economia di intere regioni” danneggiando paesi “che non giocano con il sistema globale, ma stanno costruendo una prosperità di base”. Molte di queste nazioni “si affidano alla crescita trainata dalle esportazioni per sostenere i fragili mercati del lavoro e non perdere i guadagni faticosamente ottenuti in termini di sviluppo. Colpirli con dazi di questa portata equivale a tassarne l’ambizione. Scoraggia il progresso, blocca l’industria locale e dice ai paesi in via di sviluppo che sono inutili nel gioco geopolitico”.
“La presenza del Vietnam nella linea di fuoco commerciale deriva dai fallimenti dell’era Trump 1.0”, commenta William Pesek sempre su Asia Times. “La maggior parte dei posti di lavoro che Trump pensava allora di spingere dalla Cina agli Stati Uniti sono andati invece in Vietnam. È stata l’alternativa alla Cina scelta da molte aziende statunitensi”.
Il Vietnam “produce circa la metà delle scarpe della Nike, ospita un impianto di assemblaggio di chip della Intel ed è uno dei principali centri di produzione degli orologi e degli AirPods di Apple”, ricorda lo Straits Times. “Il paese è stato uno dei paesi che hanno guadagnato di più dalla prima guerra commerciale di Trump, cominciata nel 2018. Le multinazionali straniere che cercavano di diminuire il rischio per le loro catene di approvvigionamento globali si sono riversate sulle coste vietnamite, mentre le fabbriche cinesi hanno visto nella nazione del sudest asiatico una comoda base produttiva da cui spedire le merci ed eludere le tariffe statunitensi. Ma è stato proprio questo successo a far lievitare il surplus commerciale del Vietnam con gli Stati Uniti. Questo lascia Hanoi particolarmente esposta all’impatto delle minacce tariffarie dell’amministrazione Trump, proprio mentre si accinge ad avviare un ambizioso programma di crescita interna. Le esportazioni vietnamite verso gli Stati Uniti sono cresciute fino a raggiungere il 30 per cento del pil nel 2024, con l’elettronica (43 per cento) e il tessile (24 per cento) come maggiori contributori”.
Per Duong Thi Ngoc Dung, vicepresidente dell’Associazione tessile e Abbigliamento del Vietnam, “c’è il rischio che molte aziende nel paese siano costrette a chiudere, lasciando senza lavoro migliaia di persone”. Come osserva Green, “gli Stati Uniti non si stanno solo vendicando della Cina, stanno attaccando le sue impronte in Asia.
Ma c’è un problema: questi paesi non ospitano solo i capitali cinesi. Sono anche patria di lavoratori, fornitori locali e classi medie in crescita. Rappresentano un’opportunità per loro stessi e per l’economia globale. Tagliarli fuori da uno dei più grandi mercati del mondo non indebolisce la Cina. Indebolisce le prospettive di stabilità regionale e di crescita condivisa. E consegna a Pechino una vittoria propagandistica su un piatto d’argento”. Non solo propagandistica. “La raffica di nuovi dazi aumenta le probabilità che i paesi della regione, già ricettivi alle aperture strategiche della Cina, siano spinti ulteriormente nell’abbraccio di Pechino”, commenta lo Straits Times. A metà aprile il presidente cinese Xi Jinping, pronto a sfruttare la situazione, dovrebbe visitare Vietnam, Malaysia e Cambogia nel suo primo viaggio all’estero del 2025.
Per Hanoi un barlume di speranza viene dal fatto che questi dazi non entreranno in vigore fino al 9 aprile, dando al governo vietnamita il tempo di rispondere e di sedersi al tavolo delle trattative, scrive Michael Tatarski nella sua newsletter Vietnam Weekly. “Il vicepremier vietnamita Hồ Đức Phớc dovrebbe visitare gli Stati Uniti dal 6 al 14 aprile per tentare di rinegoziare un accordo. E a quanto pare anche i dirigenti di Vietnam Airlines e VietJet andranno a New York per incontrare la Boeing. Non è chiaro, però, cosa possa fare esattamente il Vietnam per compiacere l’amministrazione Trump”.
Hanoi ha abbassato i dazi su una serie di importazioni dagli Stati Uniti come l’etanolo, le auto, il gas naturale liquefatto con ulteriori riduzioni su una gamma di altri prodotti. “Ha concesso a Starlink (il provider di internet satellitare di Elon Musk) di cominciare a operare nel paese, ha promesso di accelerare l’approvazione del progetto da 1,5 miliardi di dollari della Trump Organization per un resort/campo da golf nella provincia di Hưng Yên (con altri progetti simili in cantiere). Nonostante l’atteggiamento decisamente non conflittuale, i vietnamiti sono stati colpiti molto più duramente dei paesi contro cui Trump si scaglia abitualmente. Sicuramente ci sarà spazio per le negoziazioni, qualcosa in cui i funzionari vietnamiti sono abili, come ha sottolineato Trump, ma il 46 per cento è un punto di partenza incredibilmente alto”.
Oltre a provare a negoziare, il Vietnam, come la Thailandia, s’impegnerà a diversificare i mercati verso cui esportare. Per ora gli Stati Uniti sono la principale destinazione delle merci prodotte in Vietnam, Cambogia, Thailandia e Filippine, la seconda per l’Indonesia e la terza più grande per la Malaysia. Il premier vietnamita Pham Minh Chinh, che dopo l’annuncio di Trump ha convocato una riunione d’emergenza del governo, ha definito i dazi “un’opportunità per reindirizzare l’economia verso uno sviluppo rapido ma sostenibile, per allargare i mercati, diversificare le catene di approvvigionamento e alimentare la localizzazione”.
Questo testo è tratto dalla newsletter In Asia.
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