Da diversi giorni gruppi di persone che lavorano nel settore del cinema iraniano si riuniscono all’ingresso di Evin, la prigione centrale di Teheran. Fanno dei turni, il presidio è continuo: chiedono spiegazioni sull’ultima ondata di perquisizioni e di arresti che ha preso di mira il mondo del cinema. In particolare sull’arresto di due documentariste, Firouzeh Khosrovani e Mina Keshavarz.
“La mattina del 10 maggio due nostre colleghe sono state arrestate senza alcuna spiegazione chiara”, si legge nel comunicato diffuso da tre associazioni di registi e produttori di documentari. Nel documento si legge che quello stesso giorno le abitazioni e i luoghi di lavoro di una decina di documentaristi sono stati perquisiti; i loro telefoni, computer, hard disk e strumenti di lavoro sono stati confiscati. Khosrovani e Keshavarz sono state arrestate nelle rispettive abitazioni al termine di simili perquisizioni.
Diversi giorni dopo gli arresti però non è chiaro perché. Nessuna accusa è stata formalizzata. E di fronte al silenzio ufficiale, il 14 maggio la comunità del cinema ha cominciato a mobilitarsi in modo pubblico. Un appello circolato in Iran ha raccolto in due giorni oltre 380 firme. “Chiediamo che questo caso sia condotto in modo trasparente, pubblico, e nel tempo più rapido possibile”, si legge. “Ci aspettiamo che alle nostre colleghe siano restituiti i loro averi, strumento essenziale per il loro lavoro”.
Il legame con l’Italia
Non è la prima volta in Iran che registi e artisti vengono presi di mira con censure, arresti o intimidazioni. Qui si tratta di due documentariste che vivono e lavorano a Teheran, ma il cui lavoro è noto anche all’estero.
Firouzeh Khosrovani ha studiato all’accademia di Belle arti di Brera, a Milano, e ha conseguito un diploma di giornalismo a Teheran. Nei suoi documentari ha esplorato l’immagine delle donne tra il vecchio regime (quello dello shah) e la Repubblica islamica instaurata dopo la rivoluzione, magari attraverso l’evoluzione dei manichini femminili nelle vetrine. Il suo ultimo documentario, Radiography of a family, ha vinto nel 2020 il premio principale del Festival internazionale del documentario a Amsterdam. La stessa Khosrovani (che nel 2009 è stata ospite del festival di Internazionale a Ferrara) lo ha presentato di recente in Italia, dove è distribuito da ZaLab.
Anche Mina Keshavarz è autrice di numerosi documentari; il suo ultimo progetto è The art of living in danger, vincitore della sezione documentari del Busan international film festival.
Cosa, nei loro lavori, avrà motivato un arresto? Difficile dire, forse proprio nulla. Il fatto è che il cinema, e in generale la cultura, è guardato con sospetto dal potere. Momenti di relativa libertà interna si alternano a momenti di chiusura: e questo è senza dubbio un momento difficile per il paese. Eppure, anche nei momenti più bui, il mondo del cinema in Iran si è mobilitato per rivendicare spazi di apertura.
“Noi chiediamo di mettere fine al clima di paura e insicurezza in cui vivono e lavorano registi e documentaristi, anche perché sono coloro che hanno un ruolo nella storiografia del nostro paese”, si legge nel documento che ha raccolto tante firme. “Chiediamo a tutti coloro che sono affiliati all’industria del cinema in Iran di unirsi al nostro appello per il rilascio delle nostre colleghe”, conclude il messaggio.
Aggiornamento del 18 maggio 2022. L’organizzazione in difesa dei diritti delle donne Bidarzani ha annunciato che Mina Keshavarz e Firoozeh Khosrovani sono state liberate il 18 maggio in seguito al pagamento di una cauzione.
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