Questo articolo è stato pubblicato il 3 settembre 2021 nel numero 1425 di Internazionale.

“A qualcuno può spezzare il cuore, ma anche il mercato del lavoro è un mercato”. Questa frase era scritta in un rapporto pubblicato nel 2002 dall’Istituto per l’economia mondiale di Kiel (Kiel Institut für Weltwitschaft), in Germania. In quell’anno non era stata ancora introdotta la riforma tedesca del lavoro detta Hartz (da Peter Hartz, presidente della commissione che l’aveva elaborata). All’epoca la Germania era considerata “il malato d’Europa” e tutti i tedeschi avevano paura di restare disoccupati. In quello studio l’istituto elencava “75 punti contro la disoccupazione” e in tutti la questione era in sostanza quella di abbassare il costo del lavoro: in questo modo, si pensava, gli imprenditori potevano aumentare le assunzioni, e più persone avrebbero avuto un lavoro, anche se pagato meno.

Quel documento è il simbolo di un’epoca in cui i rapporti tra datori di lavoro e dipendenti erano particolarmente squilibrati, e a tutti sembrava chiaro a chi sarebbero toccati i sacrifici. Alcune di quelle proposte furono poi accolte nel pacchetto di riforme Hartz. Il mercato del lavoro è un mercato, scrisse 19 anni fa l’istituto al punto 75, spezzando il cuore soprattutto a chi non riusciva a trovare lavoro o doveva fare i conti con uno stipendio più basso.

Il mercato del lavoro è ancora un mercato, ma oggi il cuore infranto ce l’hanno quelli che in passato l’hanno spezzato agli altri: i datori di lavoro. Che all’improvviso devono vedersela con due problemi: spesso non ci sono abbastanza candidati qualificati per le loro aziende, e quelli che ci sono non si accontentano più facilmente come prima. Lo squilibrio di potere si sta rovesciando, lentamente ma sensibilmente. Lo conferma Kerstin Wagner, capo del reclutamento della Deutsche Bahn, le ferrovie tedesche, dove è responsabile di numerose assunzioni: l’anno scorso sono state 25mila, quest’anno se ne dovranno aggiungere altre ventimila. Le ferrovie vogliono espandersi e hanno bisogno di ingegneri, macchinisti, operai e controllori. La Deutsche Bahn conta circa cinquecento diverse posizioni di lavoro, in tutte le classi di salario. Quando parla dei candidati a un posto di lavoro, Wagner li chiama “clienti”. In un’azienda come la Deutsche Bahn, la gestione del personale è un compito altamente specializzato. Nel reparto diretto da Wagner lavorano circa ottocento persone. Vanno nelle scuole, organizzano conferenze, pubblicano annunci di lavoro. Ci sono giornate dedicate ai colloqui con i genitori (in modo che anche mamma e papà conoscano le opportunità offerte dalle ferrovie) e specialisti che riflettono su quali competenze potrebbero servire tra un paio d’anni per la manutenzione o la supervisione dei lavori.

Amsterdam, Paesi Bassi. (Laura Domela)

Le ferrovie tedesche, però, non sono un’eccezione: anche alberghi, ristoranti e cantieri edili sono a corto di personale. Prima le imprese s’interessavano soprattutto agli informatici. Chi non poteva vantare qualifiche elevate non era certo troppo corteggiato. Tutto questo dipende in buona parte da quello che successe nel dicembre del 1978 in Cina, quando si riunì il comitato centrale del Partito comunista e decise che il paese, fino ad allora chiuso verso l’esterno, avrebbe dovuto aprirsi. La stessa cosa successe qualche anno dopo in India e, dopo la caduta del muro di Berlino, nei paesi del blocco sovietico. In seguito a quegli eventi, stima l’economista statunitense Richard Freeman, il numero dei lavoratori disponibili a livello globale raddoppiò nel giro di pochi anni: da 1,46 miliardi a 2,93 miliardi. La forza lavoro in Asia e nell’Europa orientale c’era anche prima, ma ancora non era disponibile per il mercato mondiale. Prima di quella svolta, non si potevano trasferire le fabbriche in Cina né si potevano ordinare le componenti delle automobili in Slovacchia.

Quello che è successo dopo è storia nota, se ne riparla ogni volta che una fabbrica chiude perché il lavoro in Cina costa meno. Secondo alcuni studi, solo negli Stati Uniti la concorrenza cinese ha causato la perdita di due milioni di posti di lavoro. E in molti casi la minaccia di dislocare la produzione è stata sufficiente per far accettare a consigli di fabbrica e sindacati compromessi sui salari. Nel febbraio del 2004 i sindacati e i rappresentanti delle associazioni degli industriali metalmeccanici ed elettrici tedeschi firmarono il cosiddetto accordo di Pforzheim, che permetteva alle aziende di tagliare gli stipendi se serviva a salvare posti di lavoro.

Secondo le stime dell’Istituto tedesco per la ricerca economica (Deutsches Institut für Witschaftsforschung, Diw), nel 1995 i lavoratori tedeschi guadagnavano in media 17,60 euro all’ora e nel 2013 solo 16,90 euro. In questo modo sono stati creati molti posti di lavoro, ma è cresciuta anche la quota di persone con una paga bassa, pari cioè a meno di due terzi del salario medio. Nel 1998 questa fascia comprendeva il 17 per cento dei lavoratori dipendenti, nel 2007 quasi il 24 per cento. Oggi, tuttavia, il fatto che ci siano pochi dipendenti sta diventando la base di nuovi modelli imprenditoriali.

In un palazzo di uffici vicino a Hackescher Markt, a Berlino, le scrivanie sulla moquette scura sono vuote a causa della pandemia, il silenzio è quasi totale. Su una parete sopra due porte è appeso un cartello dove è scritto a grandi lettere: “Candidates first”, prima i candidati. Perché i candidati sono la materia prima di quest’azienda. La Medwing è una società di collocamento e lavoro interinale per infermieri e medici. Il fondatore, Johannes Roggendorf, non ha mai avuto a che fare con la sanità a livello professionale, dice. Ha solo capito qual era il problema: da un lato c’erano gli ospedali, che cercavano urgentemente personale; dall’altro, i potenziali candidati, che non volevano lavorare con il classico sistema dei turni, non volevano un calendario di servizio rigido né una paga inferiore alla media. Personale che in alcuni casi era già stato impiegato in lavori d’ufficio o in altri settori. Chiunque avesse portato dalla sua parte questa forza lavoro, ha intuito Roggendorf, avrebbe in gran parte risolto il problema del settore sanitario e dell’assistenza.

Se un’infermiera si registra sul sito della Medwing in orario d’ufficio, riceve una chiamata entro cento secondi, dice Roggendorf. A quel punto un consulente le chiede cosa desidera: sta cercando un posto fisso o vuole lavorare come infermiera di sala operatoria in diversi ospedali? Preferisce lavorare vicino a casa o vuole soprattutto guadagnare il più possibile? La Medwing offre due tipi di servizio. Può aiutare a trovare posti di lavoro a tempo indeterminato: un algoritmo combina i candidati con i posti vacanti disponibili in base alle loro preferenze. Per il servizio le cliniche pagano circa il 10 per cento del salario annuale del nuovo dipendente. Oppure, i candidati sono assunti a tempo indeterminato dalla stessa Medwing e vengono poi “prestati” agli ospedali sulla base di un programma di turni stabilito dai lavoratori. Si chiama “leasing”, che suona meglio di lavoro interinale.

Amsterdam, Paesi Bassi. (Laura Domela)

Uno di questi lavoratori in leasing è Marek Goebel, 33 anni, specializzato nell’assistenza in terapia intensiva. Ama il suo lavoro e già a sedici anni lavorava in ambulanza. Di recente Goebel ha fatto un colloquio di lavoro con un ospedale nel Land del Brandeburgo, racconta. Voleva solo farsi un’idea. La prima domanda è stata perché gli sarebbe piaciuto lavorare proprio in quella clinica. “Lì mi sono chiesto in che mondo vivono”, dice. “Sono loro a dovermi spiegare perché dovrei voler lavorare lì”. Poi gli hanno offerto anche una paga inferiore alla media, aggiunge. La paga di un infermiere di terapia intensiva in Germania è compresa fra i 3.200 e i 4.200 euro al mese. Come lavoratore in leasing, Goebel guadagna circa il 20 percento in più rispetto a chi ha un posto fisso. Non si è neanche preso la briga di negoziare, ha semplicemente detto di no. E dal momento che sono in molti a fare come Goebel, gli ospedali cominciano a rivedere le condizioni contrattuali offerte ai dipendenti, osserva Roggendorf.

Il settore della sanità e dell’assistenza è in buona compagnia: secondo il Diw, oggi in Germania ci sono carenze di personale nel 45 per cento delle attività. Mancano operai per i lavori stradali, medici specialistici e impiegati amministrativi. Questo, però, non significa che siano spariti i disoccupati e i lavoratori precari. I lavoratori interinali e i fattorini sono ancora lì, ma è vero che il loro numero sta diminuendo. Ora rappresentano il 20,7 per cento dei lavoratori tedeschi con mansioni poco qualificate e scarsamente retribuiti. Tra il2013 e il 2019 la loro retribuzione oraria lorda media è aumentata dell’8 per cento, al netto dell’inflazione. Nel caso dei lavoratori a basso salario, l’aumento è stato “al di sopra della media”, dice Markus Grabka, ricercatore del Diw.

E anche se è scoppiata una delle peggiori crisi economiche del dopoguerra, che ha fatto perdere il lavoro a milioni di persone, la ricerca di personale è ricominciata. A giugno in Germania erano segnalati 693mila posti di lavoro vacanti, e aziende come la Porsche hanno ripreso a pagare bonus ai loro dipendenti. NegliStati Uniti si sono registrati 9,3 milioni di posti di lavoro vacanti, e Amazon sta portando il salario d’ingresso dell’azienda da15 a 18 dollari all’ora.

Un altro numero mostra quanto si sia spostato l’equilibrio: si può dividere l’intera produzione economica di un paese tra lavoratori dipendenti e possessori di capitale. A lungo la quota destinata ai salari dei dipendenti era diminuita, mentre i possessori di capitale si arricchivano sempre di più. La tendenza si è invertita: da circa dieci anni i salari riguadagnano terreno e ora hanno raggiunto quasi i livelli di trent’anni fa.

Le ragazze della Douglas
È un venerdì quando Jaana Hampel sale su un palco al Kornmarkt di Norimberga. È molto arrabbiata. Hampel è una sindacalista e ha indetto uno sciopero dei dipendenti delle catene di negozi: vogliono un salario più alto, vogliono la loro parte dei guadagni legati alla pandemia. I datori di lavoro, invece, vogliono rinviare le discussioni sul contratto di un altro anno, perché hanno perso denaro a causa della pandemia. Hampel è indignata: alcuni scioperanti sono stati appena chiamati dai loro datori di lavoro, che li accusano di essere assenti ingiustificati. “È una porcheria”, urla. “Se c’è da fare sacrifici, spetta a loro, lo dico molto chiaramente!”. Hampel si occupa dei negozi al dettaglio per il sindacato Ver.Di. “Le ragazze della Douglas”, o “le mie donne di H&M”, dice. Ci sono anche alcuni uomini della catena di supermercatiMetro. Insieme gridano: “Siamo qui, facciamo rumore perché ci stanno rubandola grana”.

Parlando con gli scioperanti è evidente che non si preoccupano solo dei soldi, ma anche della qualità del lavoro. “Il nostro nuovo amministratore delegato considera l’azienda principalmente un sito di commercio online”, dice una commessa della catena di profumerie Douglas. Non c’è quasi tempo per dare consigli ai clienti. Una dipendente della catena Marktkauf si lamenta del fatto che si assumono lavoratori part-time invece di lavoratori a tempo pieno. E perché non cambia lavoro, se tante aziende sono a corto di personale? “Sono lì da 23 anni. Conosco i clienti abituali e vedo crescere i loro figli. Non posso andarmene”, risponde. “Faccio parte dell’azienda anima e corpo”, dice la commessa del gruppo Douglas.

Amsterdam, Paesi Bassi. (Laura Domela)

Hampel è cresciuta a pane e lotte sindacali, suo padre era il capo del consiglio di fabbrica della Siemens. In base alla sua esperienza ancora non ha l’impressione che i lavoratori abbiano raggiunto una posizione più forte. Naturalmente ci sono esempi come quello di Bautzen. Lì i dipendenti del marchio di senape Bautzner Senf hanno scioperato cinque giorni per una tariffa minima di dodici euro e per la parità salariale tra le fabbriche di senape dell’ovest e dell’est della Germania, e alla fine sono state accolte quasi tutte le loro richieste. Ma le conseguenze della riforma Hartz sono ancora visibili in molte aziende e persone, dice Hampel. “La paura per la propria sussistenza ha ucciso il senso di comunità e oggi ognuno combatte prima di tutto per se stesso”.

Tuttavia, i lavoratori hanno buone ragioni per essere fiduciosi. Innanzitutto c’è il mercato mondiale. Gli Stati Uniti hanno imposto nuovi dazi doganali e hanno eretto barriere commerciali. Con queste restrizioni, per molti dipendenti si riduce finalmente la pressione della concorrenza. Dopo decenni di alti tassi di crescita, la Cina è diventata un paese ricco: negli ultimi tempi lì i salari sono aumentati di circa il 10 per cento all’anno.

A questo si aggiunge l’innalzamento dell’età media, che avanza nella maggior parte dei paesi occidentali. Oggi in Germania ci sono 57 pensionati ogni 100 dipendenti, nel 2030 dovrebbero essere 67, nel 2050 addirittura 77. I pensionati vogliono mangiare, vivere, viaggiare e a un certo punto anche essere curati. Questo significa più lavoro per i più giovani, le loro competenze diventano un bene prezioso. L’istituto di ricerca economica Prognos ha calcolato che in Germania già nel 2025 ci potrebbe essere una carenza di circa 2,9 milioni di lavoratori qualificati. L’economista britannico Charles Goodhart ritiene quindi che si stia aprendo“una buona fase” per i lavoratori dei paesi industrializzati.

Quando, invece delle gerarchie, la vita lavorativa è basata su squadre di dipendenti l’importanza dei manager diminuisce, mentre aumenta quella degli impiegati

E poi ci sono anche le tendenze politiche. Negli Stati Uniti il presidente Joe Biden vuole istituire una commissione per capire come rafforzare i sindacati. In Germania c’è il salario minimo, il diritto al lavoro part-time e la Teilhabechancengesetz, la legge che garantisce un sussidio pubblico pari a gran parte del salario minimo a chi è disoccupato da molto tempo. Ci sono nuove regole contro lo sfruttamento nell’industria della carne e per i fornitori stranieri di aziende tedesche. E diverse leggi aiutano le aziende a formare i propri dipendenti, un aspetto che sta diventando sempre più importante anche dal punto di vista dei datori di lavoro.

Se si ordina un maglione dall’azienda di vendita per corrispondenza Otto, probabilmente il prodotto è stato procurato da qualcuno della Otto International. Quest’azienda, che ha sede a Hong Kong e succursali in tutto il mondo, dà lavoro a 1.400 dipendenti che comprano capi per la società madre di Amburgo: pantaloni, camicie, biancheria intima, scarpe. Di recente sedici dipendenti della Otto International si sono riuniti in videoconferenza per partecipare a un programma di formazione di nove mesi che dovrebbe preparare il personale alle sfide del futuro. Si proiettano slide con diagrammi colorati: il tema è come migliorare i processi di comunicazione interna.

Occasioni simili, che hanno l’obiettivo di rafforzare il legame tra i dipendenti e l’azienda, sono sempre più comuni. “I lavoratori sono molto consapevoli del loro valore”, sostiene Florian Hoffmann, fondatore della piattaforma educativa TheDo, con sede a Berlino, New York e Hong Kong, che fornisce consulenza alle aziende e coordina il programma della Otto International. Quando, invece delle gerarchie, la vita lavorativa è basata su squadre di dipendenti che portano avanti progetti, l’importanza dei manager per il successo aziendale diminuisce, mentre aumenta quella degli impiegati.

Oltre alla buona retribuzione e alla flessibilità in termini di tempo, per i giovani è particolarmente importante la possibilità d’identificarsi con l’azienda, spiega Wagner, della Deutsche Bahn. “Da noi il fatto di poter contribuire alla difesa dell’ambiente grazie all’espansione del trasporto ferroviario gioca un ruolo importante”. È quello che nelle grandi aziende si chiama con la parola inglese purpose: scopo. Chi può scegliere tra due, tre o quattro lavori, deve pure avere un buon motivo per preferire l’uno agli altri.

A luglio Biden ha tenuto una conferenza stampa alla Casa Bianca. I giornalisti gli hanno chiesto un parere sulla difficoltà di molte aziende nel trovare personale. Biden ha risposto che comprende le difficoltà dei datori di lavoro, ma ha aggiunto che c’è una soluzione semplice per attirare lavoratori: “Pagateli meglio”.

(Traduzione di Nicola Vincenzoni)

Questo articolo è stato pubblicato il 3 settembre 2021 nel numero 1425 di Internazionale.

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