Questo articolo è stato pubblicato il 5 maggio 2017 nel numero 1203 di Internazionale.

Brace Belden non ricorda con precisione quando ha deciso di rinunciare alla sua vita di punk rocker diventato fioraio e poi gestore di una palestra di boxe a San Francisco, quindi di comprarsi un biglietto aereo per l’Iraq, varcare clandestinamente la frontiera con la Siria e prendere le armi contro il gruppo Stato islamico (Is). Ma come spesso succede con le grandi scelte di vita, Belden, che ha 27 anni – “un’età da vero idiota”, secondo lui – dice che è successo prima gradualmente e poi tutto insieme.

Erano anni che leggeva notizie sul Rojava, una vasta regione che il Partito dell’unione democratica (Pyd) curdo e la sua ala militare, le Unità di protezione popolare (Ypg), si sono ritagliati nel nord della Siria approfittando della guerra civile. Le Ypg sono diventate una delle forze più efficaci contro l’Is, tanto che il Pentagono gli ha offerto il suo appoggio, e un buon numero di volontari occidentali, molti dei quali ex militari, hanno cominciato ad arruolarsi nelle loro file. Ma a Belden non interessavano tanto le vittorie militari delle Ypg, quanto quello che stanno cercando di costruire: una regione semiautonoma retta da un sistema più o meno socialista.

A Belden, che si considera marxista fin dall’adolescenza, il Rojava sembrava la Spagna del 1936: il capitalismo regnava sovrano e il fascismo avanzava, ma c’era la possibilità di fermare il secondo e di avviare una rivoluzione contro il primo. Dopo essersi chiesto per mesi se era davvero pronto a uccidere per le sue idee politiche, e aver passato altri mesi a cercare di capire come si fa a entrare in una milizia curda, Belden ha detto alla sua ragazza che andava in Siria a fare volontariato ed è salito su un aereo.

La prima volta che ho parlato con lui, nel novembre del 2016, era in Siria da due mesi e dopo settimane senza una doccia non vedeva l’ora di farsene una. “Incredibilmente sporco fino al midollo”, mi aveva scritto in un sms. Negli Stati Uniti era il giorno del Ringraziamento, ma Belden non stava festeggiando. Il suo tabor (plotone) avanzava da tre settimane verso Raqqa, la capitale di fatto dell’Is, cacciando i jihadisti dai villaggi che incontrava sul percorso. In quel momento lui e i suoi commilitoni riposavano in un silo di granaglie abbandonato nei pressi di Ayn Issa, dove un ufficiale della marina statunitense era stato appena ucciso da una mina. “Una parte di me sapeva già in cosa mi stavo cacciando”, mi ha detto Belden. “Ma quando sono arrivato qui mi è apparso lampante: ‘Oh cazzo. Mi sono arruolato in un esercito del terzo mondo che combatte contro l’Is’”.

Quando gli ho parlato, Belden era ormai diventato, almeno per gli statunitensi di sinistra, una figura di primo piano della guerra civile siriana grazie alle cronache umoristiche e spesso volgari che scriveva su Twitter con l’account @PissPigGranddad. Una foto di lui che fa il segno della pace davanti a un carro armato o un’altra in cui regge una granata mentre una sigaretta gli pende dalle labbra, e poi battute su quanto è difficile trovare un posto dove masturbarsi e ogni tanto un’analisi della situazione politica e militare. Belden, che prima di partire aveva poche centinaia di follower e a fine marzo ne aveva più di 33mila, più che raccontare la guerra come George Orwell facevagonzo journalism alla Hunter S. Thompson.

Belden si è messo al centro di una questione di politica estera molto complicata per gli Stati Uniti. La lotta per cacciare l’Is dalla Siria coinvolge una grande varietà di parti in causa, dal governo di Bashar al Assad alla Russia. Le Ypg, che prima del 2011 quasi non esistevano, sono state talmente efficaci nel combattere l’Is che il Pentagono voleva dare ai curdi e ai loro alleati più supporto per aiutarli ad attaccare Raqqa. Ma la Turchia, che considera le Ypg un’organizzazione terroristica, si è opposta energicamente.

La sinistra sporca

L’irriverenza di Belden è imbevuta dei valori di quella che negli Stati Uniti si fa chiamare dirtbag left (letteralmente, la sinistra sporca), una comunità digitale fondata sull’idea che Bernie Sanders avrebbe dovuto – e potuto – vincere le elezioni presidenziali, che la classe politica e i giornalisti statunitensi sono corrotti e che se il mondo è condannato, tanto vale farsi quattro risate mentre andiamo a fondo. Ma quando gli ho chiesto perché fosse andato in Siria, Belden mi ha risposto subito con un sms e ha chiarito che non l’aveva fatto per gioco: “È facile. Tutti noi giovani siamo destinati a morire soffocati dall’aria disgustosa vomitata da spaventose macchine a cui lavorano operai poveri, malati e affamati”, ha scritto. “Sono venuto qui per difendere un’alternativa a tutto questo”.

Perfino nella progressista San Francisco, le iniziative della sinistra a cui Belden aveva partecipato avevano ottenuto solo piccole vittorie: si poteva anche impedire qualche sfratto, ma prima o poi arrivava una nuova startup in cerca di uno spazio dove mettere i suoi dipendenti. Il Rojava prometteva qualcosa di diverso: “Questa è la cosa che oggi più si avvicina a una rivoluzione socialista”, mi ha detto Belden. “Credo di aver pensato che sarebbe stato carino vedere com’è quando la sinistra vince davvero”.

Ayn Issa, Siria, novembre 2016. (Alice Martins, The Washington Post/Getty Images)

Belden è cresciuto a Corte Madera, pochi chilometri a nord del Golden gate. Suo padre fa il giornalista in una tv locale e suo fratello maggiore lavora nel ramo tecnologico. Sua madre si è suicidata quando Belden aveva sei anni. Parenti e amici lo definiscono intelligente e divoratore di libri, ma lui dice di essere stato anche “un adolescente incasinato”. Quando andava al liceo ha cambiato cinque istituti, compreso un riformatorio da cui è fuggito per poi farsi arrestare per ubriachezza.

Nel 2005, quando aveva 15 anni, con tre amici fondò un gruppo punk. “Il bassista ebbe un’idea per diventare famosi rapidamente: ‘E se facessimo qualcosa di veramente stupido?’”, mi ha raccontato. I quattro erano tutti di sinistra (a 13 anni Belden aveva partecipato alle manifestazioni contro la guerra in Iraq), quindi la cosa più stupida che gli venne in mente fu diventare il principale gruppo punk militarista di destra di tutta San Francisco. Si chiamarono Warkrime e adottarono nomi d’arte come Adolf Edge e President Chaos. Il loro primo album, Give war a chance, aveva in copertina un simbolo della pace cancellato da una croce.

I Warkrime si sono sciolti nel 2008. Belden si era diplomato e non aveva molta voglia di andare all’università. Ha trovato lavoro nel negozio di fiori Brothers Papadopoulos, a San Francisco, ed è stata proprio l’esperienza della vita al gradino più basso del mercato del lavoro a suscitare in lui l’interesse per le idee di sinistra: “Come chiunque altro, quando il sistema ha cominciato a colpirmi materialmente mi sono svegliato”, spiega. A 19 anni si definiva comunista.

In seguito, però, Belden è precipitato in quello che chiama “un periodo buio”: droga, piccoli furti e brevi passaggi in carcere per possesso di stupefacenti e rissa. “Non so se ti sei mai iniettato coca nelle mani”, mi ha detto. “Pensi che sarà tremendo e invece scopri che è fantastico”. Un’overdose di eroina gli ha lasciato un conto di 1.800 dollari per l’ambulanza.

Dopo vari periodi in un centro di recupero, nell’agosto del 2014 era pulito. Ha abbandonato le giacche di pelle e le bandane per mettere l’uniforme degli hipster urbani: camicia e giacca. Ha anche cominciato a uscire con Jen Snyder, un’attivista politica. Snyder ricorda che al primo appuntamento si sono seduti davanti al Pacifico e Belden le ha raccontato “molte più cose sulla guerra civile spagnola di quante ne avessi mai voluto sapere”. Era affascinato soprattutto dalle migliaia di statunitensi ed europei che erano andati a combattere nelle brigate internazionali.

Belden si era sempre interessato di politica, ma dal suo periodo buio è riemerso ancora più motivato. “Quando finisci in un centro di recupero, sei in cerca di un principio che ti organizzi la vita, che sia Dio, Marx o Öcalan”, dice suo padre Joe. Abdullah Öcalan è un leader curdo. Negli anni settanta è stato tra i fondatori del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), che da decenni lotta contro il governo turco per ottenere l’autonomia dei curdi. Öcalan è stato arrestato dai turchi nel 1999 con l’aiuto della Cia e condannato all’ergastolo. In cella Öcalan ha cominciato a leggere le opere di Murray Bookchin, un anarchico statunitense semisconosciuto che viveva nei boschi del Vermont. La sua ideologia – un misto di anarchismo, comunismo, femminismo e ambientalismo – è diventata il principio di governo nel Rojava.

Combattenti delle Ypj, unità femminili curde. Tawila, Siria, novembre 2016. (Alice Martins, The Washington Post/Getty Images)

Uscito dal centro di recupero, Belden ha cominciato a impegnarsi più attivamente nella politica locale, senza smettere di pensare al Rojava. Ha lasciato il negozio di fiori per lavorare in una palestra di boxe. Ha contribuito a organizzare le proteste contro gli sfratti, ha scritto una lettera al San Francisco Chronicle per difendere il movimento Black lives matter dalle critiche dei centristi e, pur non essendo entusiasta del socialismo democratico di Bernie Sanders, ha votato per lui. “Se sei un comunista nel 2016 devi saperti accontentare”.

Inoltre è entrato a far parte della dirtbag left, che si andava formando a margine della campagna presidenziale di Sanders, soprattutto con battute via Twitter sulle notizie politiche. Belden stesso dice di aver usato spesso Twitter per “inviare foto del mio culo” a giornalisti liberal che secondo lui stavano tradendo la causa. Il suo nome era LENIN_LOVER69 e il suo account, @PissPigGranddad, era ispirato a un anziano signore che Belden aveva visto a un festival del bondage, seduto in una piscinetta per bambini su un marciapiede a farsi urinare in bocca dalla gente attraverso un imbuto (un piss pig è uno che si eccita bevendo l’urina degli altri).

Belden ha anche cominciato a scrivere di più, soprattutto per Maximum Rocknroll, una storica fanzine punk della Bay area, conquistandosi un seguito di lettori devoti con i suoi articoli scombinati. Maksim Podpolschik, un appassionato di punk che pubblica una fanzine a Mosca, li ha perfino tradotti in russo. Nell’autunno del 2015 il Willamette Week, un settimanale alternativo di Portland, in Oregon, ha ingaggiato Belden come freelance. In uno dei suoi articoli, Belden cominciava quella che doveva essere la recensione di un album indie-pop intitolato I want to grow up scrivendo: “Un bambino muore tra le macerie in Siria e non c’è nessuno che pianga per lui perché sono tutti morti. All’altro capo del pianeta un adolescente sfoglia Tumblr sospirando”. Poi chiedeva ai lettori: “Chi non vuole disperatamente crescere, mollare le stronzate da fancazzisti e lasciare un segno in questo mondo in disfacimento?”.

Oltre il confine

Nello stesso periodo Belden ha detto a Snyder che era seriamente intenzionato ad andare in Rojava. Ha cominciato a studiare il kurmanji, la lingua locale, e si è messo in contatto con David Graeber, uno dei fondatori di Occupy Wall street che ci era stato di recente, per avere qualche consiglio su come andare in Rojava “per scopi giornalistici”. Presto Belden ha scoperto che la cosa più semplice era andarci da soldato. Dalla fine del 2014, quando le Ypg hanno difeso la città di Kobane dall’assedio dell’Is, i volontari occidentali hanno cominciato ad arruolarsi. Sono nati diversi siti per guidare le nuove reclute, e alla fine Belden si è messo in contatto con un gruppo chiamato Ypg International. Sul sito del gruppo si legge: “Quello di cui abbiamo bisogno sono persone che vogliono partecipare per i motivi giusti. Quello di cui non abbiamo bisogno sono persone che pensano di essere Rambo o che vogliono diventare famose”. Ad agosto, dopo avergli fatto qualche domanda sulle sue idee politiche e sul perché voleva combattere, hanno detto a Belden di prenotare un volo.

Il mese successivo, Belden si è licenziato dalla palestra di boxe, ha detto al Willamette Week di aver “accettato un’offerta di lavoro all’estero” e per precauzione ha fatto trasformare la stella di David che aveva tatuata sul dito medio in un asso di picche. Ha raccontato ad amici e parenti che andava a costruire case o a fondare una stazione radio. Quando ha chiesto alla sua ragazza qualcosa per ricordarsi di lei, Snyder gli ha dato un anellino d’argento da due soldi che Belden porta all’anulare sinistro (lei ne porta uno uguale). In una delle ultime serate a San Francisco, Belden è andato al karaoke con gli amici e con Snyder, a cui ha dedicato una canzone dei Kiss: “Just a few more hours / And I’ll be right home to you / I think I hear them calling / Oh, Beth, what can I do” (ancora qualche ora / e sarò a casa da te / mi pare di sentirli chiamare / oh, Beth, che posso fare?).

Reclute delle Sdf, milizie siriane a maggioranza curda, leggono un libro di Abdullah Öcalan. Tal Abyad, Siria, 2016. (Alice Martins, The Washington Post/Getty Images)

Quattro giorni dopo Belden è atterrato a Sulaymaniya, una città controllata dai curdi nel nordest dell’Iraq. Le Ypg gli avevano dato solo un numero di telefono. “Era un gran casino”, ricorda. Ha trascorso la notte in un nascondiglio, dove un uomo incaricato di esaminare i nuovi arrivati gli ha dato un consiglio: se avesse concentrato tutta la sua energia mentale su un unico obiettivo, la forza psichica si sarebbe manifestata e avrebbe portato a risultati tangibili. “Mi sono accorto che mi stava spiegando Il segreto”, racconta Belden riferendosi a un bestseller di autoaiuto.

Il giorno successivo Belden ha attraversato l’Iraq insieme a un piccolo gruppo di persone per raggiungere un accampamento sulle montagne vicino al confine con la Siria, dove ha ricevuto il suo nome in codice, Rashid Fuad. “Tutti gli altri avevano un nome fico che significava ‘fulmine’ o ‘ciclone’. Il mio era solo un nome arabo di merda”. Quella notte hanno camminato per chilometri nell’oscurità e sono entrati in Siria attraversando il Tigri a bordo di un canotto nascosto nella vegetazione sulla riva.

La mattina seguente sono arrivati all’Accademia, dove le Ypg addestrano le reclute. All’inizio tra i volontari occidentali che arrivavano lì c’era di tutto: molti erano ex militari, ma c’erano anche un attore britannico di 53 anni che aveva interpretato un mozzo in Pirati dei Caraibi-La maledizione del forziere fantasma e un uomo che era stato soprannominato “Tim il cannibale” perché aveva addentato il piede mozzato di un jihadista morto e aveva morso un altro soldato dell’Ypg che credeva morto ma non lo era.

Quando Belden è arrivato all’Accademia, però, la maggior parte delle reclute era lì perché condivideva le idee di sinistra delle Ypg. “I curdi ci hanno chiesto se stavamo con Trump o con Hillary, ed è stato surreale ritrovarmi a spiegare chi fosse Bernie Sanders a questi guerriglieri sulle montagne”, ricorda Belden. Lui e la sua classe di nove reclute cominciavano ogni giornata correndo con i kalashnikov. Quasi tutte le armi erano vecchissime, e le munizioni erano così poche che Belden ha potuto sparare solo una decina di colpi per fare pratica.

Il mese di addestramento si è concentrato soprattutto sull’indottrinamento ideologico e sull’introduzione al sistema creato da Öcalan, il cui ritratto è appeso in ogni edificio del Rojava. La proprietà privata è quasi inesistente, i pasti si preparano e si consumano insieme e perfino i generali fanno il bucato. L’ideologia di Öcalan ha una forte vena femminista. Ci sono brigate combattenti composte unicamente da donne, le Unità di protezione delle donne (Ypj), e tra i comandanti il numero di donne è quasi uguale al numero di uomini.

“È difficile descrivere fino a che punto alcuni prendano sul serio l’ideologia”, ha twittato Belden. “Naturalmente sono ancora cinico ma, anche se a volte le cose sono frustranti, quando mi fermo a pensare trovo incredibile la dedizione di queste persone”.

Una foto di Brace Belden pubblicata su Twitter. (Per gentile concessione di Brace Belden)

È stato uno dei rari momenti in cui Belden si è tolto l’armatura dell’ironia. All’epoca aveva già un buon seguito su Twitter: la dirtbag left aveva capito che uno dei suoi era davvero andato in Siria per combattere l’Is, e aveva cominciato a ritwittare i suoi eccentrici dispacci:

“Dovrei essere in allerta durante questo turno di guardia ma il mio dovere di stare di guardia online ha la priorità, per cui spero che stasera quelli dell’Is siano già in pigiama”.

“La guerra ti cambia. Due settimane fa ero un idealista. Ora tutto quello che voglio è una connessione abbastanza buona da poter guardare 30 secondi di Bang bus” (un sito porno).

Mentre era all’Accademia Belden ha compiuto 27 anni. Per festeggiare, i suoi superiori gli hanno permesso di sparare qualche colpo con un fucile di precisione sovietico e di usare internet per qualche ora. Belden ne ha approfittato per andare su Twitter e scrivere a un liberal con cui non era d’accordo: “Voglio che mi lecchi il culo finché il sole esploderà”.

Verso Raqqa

Il 6 novembre, pochi giorni dopo che Belden aveva lasciato l’Accademia, il suo tabor si è unito a un convoglio di camion, furgoni e bulldozer diretti a sud, verso Raqqa. Le Ypg avevano appena annunciato l’inizio dell’operazione “Ira dell’Eufrate”, un’offensiva contro la roccaforte dell’Is. Belden faceva parte di un plotone di artiglieria, ma non aveva ben chiaro il funzionamento della mitragliatrice che gli era stata assegnata, sul retro di un carro armato improvvisato. Prima di partire ha pubblicato una foto del carro con una didascalia: “Sono il vostro autista di Uber, vi aspetto qui fuori”.

Il tabor stava avanzando verso Tal Saman, un villaggio controllato dall’Is a nord di Raqqa, quando Belden ha avvistato una macchina lanciata a tutta velocità contro il convoglio, probabilmente carica di esplosivo. Un missile lanciato da un aereo l’ha fatta saltare in aria prima che lui potesse prendere la mira. Dopo aver “scassato di bombe” Tal Saman, il tabor ha trovato il villaggio disseminato di corpi talmente sfigurati che in alcuni casi era impossibile riconoscerli. “Tecnicamente ho commesso un crimine di guerra perché ho pisciato su un cadavere”, ha raccontato Belden a un giornalista di Rolling Stone che stava scrivendo un articolo sui volontari occidentali nelle fila delle Ypg. “Ma non l’ho fatto apposta”.

I follower di Belden, per non parlare dei suoi familiari, non sapevano che il suo plotone era stato tra i primi a partecipare all’operazione Ira dell’Eufrate. La dirtbag left ha tirato un sospiro di sollievo quando Belden ha dato sue notizie a un redattore della rivista socialista Jacobin: “Dite a Twitter che non solo sono vivo, ma conquistiamo villaggi come un branco di cani arrabbiati”. Nel frattempo qualcuno stava lanciando colpi di mortaio contro di loro. “Ma è una pippa e continua a mancarci”, ha spiegato Belden. Un sito siriano ha pubblicato un’intervista in cui Belden ammetteva che la sua famiglia e gli amici non sapevano cosa stesse facendo realmente: “Vorrei che pensassero che sto facendo qualcosa di buono. C’è un po’ di divisione sull’argomento”.

Belden a San Francisco. (Per gentile concessione di Brace Belden)

“Ero abbastanza incazzata nera”, mi ha confessato Snyder, la sua ragazza. Lo aveva appoggiato quando pensava che sarebbe partito per partecipare a una missione umanitaria, ma quando gli aveva chiesto perché continuava a pubblicare foto in cui imbracciava fucili lui aveva risposto che in Rojava era normale anche per un civile. Belden aveva cercato di farsi perdonare preparando una caccia al tesoro per lei prima di partire. Uno degli indizi la invitava ad aprire un libro nel loro appartamento, dove alla pagina indicata Snyder ha trovato un buono spesa di Whole Foods da 69 dollari.

La ragazza, che ha tenuto una rosa e un paio di libri di Mao sul comodino perché la fanno pensare a lui, era rassegnata all’idea che non avrebbe potuto fare nulla per fermarlo: “Quando uno ti dice ‘voglio aiutare la gente a non morire per colpa del fascismo’ non puoi mica rispondergli ‘sei uno stronzo egoista’”. Gli amici e la famiglia pensavano che la decisione di Belden avesse abbastanza senso. Il suo fan russo Pod-polschik, che non ha un bel ricordo della vita sotto il comunismo, gli ha chiesto perché la pensavano così. “Hanno risposto tutti ‘siamo con lui, siamo contenti che combatta contro l’Is’”, mi ha raccontato Podpolschik. “Mi è sembrato strano che nessuno gli abbia detto ‘ma che cazzo stai facendo?’”.

Quando ho parlato con Belden il giorno dopo Natale, ho avuto l’impressione che si stesse facendo la stessa domanda. “È una noia mortale”, mi ha detto della vita al fronte. Nei primi due mesi dell’operazione Ira dell’Eufrate le Ypg e i loro alleati avevano conquistato duemila chilometri quadrati di territorio senza incontrare molta resistenza. Il pericolo c’era – un kamikaze si era fatto saltare in aria in una casa dove Belden aveva dormito pochi giorni prima, e un volontario britannico delle Ypg si era sparato in testa per evitare di essere catturato dai nemici che lo avevano circondato – ma gli unici combattimenti in cui era stato coinvolto erano stati a distanza. Mi ha spiegato di aver affrontato i dubbi morali sull’idea di uccidere e di essere pronto a farlo, ma fino a quel momento le Ypg sembravano più interessate a mantenere in vita lui e gli altri occidentali per farsi pubblicità. Inoltre ogni volta che riusciva a vederli con il binocolo, i jihadisti stavano scappando.

Per vedere un po’ più di azione Belden si era fatto trasferire in una squadra di assalto ed era diventato l’addetto al lanciarazzi del plotone. Ma, come nel caso della mitragliatrice, non era stato addestrato a usarlo. “Una mitragliatrice è come una donna”, ha dichiarato in un video su internet per ironizzare sulla sua scarsa preparazione. “Non la capisco, mi fa paura e un giorno una di loro mi ucciderà”.

Belden non sapeva cosa lo aspettava in Siria, e la vita in una zona di guerra si è rivelata tutt’altro che affascinante. “Ti dirò, c’è un motivo per cui non esistono molti ristoranti curdi”, ha detto a proposito del cibo, aggiungendo che cominciava a capire Tim il cannibale. “Non assumiamo molte proteine”. Belden aveva con sé un portatile con le prime tre stagioni di Seinfeld, ma il computer si era rotto e gli era rimasto solo qualche libro – un’antologia di racconti sovietici, un po’ di fantascienza e le opere complete del giornalista socialista statunitense John Reed – che in gran parte aveva già finito. Il tabor aveva una tv, ma le emittenti siriane non offrivano molto. “Guardare Garfield 2 per sei volte sarà la prima causa della mia sindrome da stress post-traumatico”, ha detto. Gli ho chiesto cosa gli mancava di più dell’America. “Mi mancano le tette”, ha risposto. “Scusami, lo so che è immaturo, ma qui sto impazzendo”.

Il suo iPhone gli offriva un po’ di svago, sempre che riuscisse a trovare una rete wifi. Il giorno dell’insediamento di Donald Trump, mentre i suoi commilitoni curdi lo prendevano in giro cantando “America cu” (l’America è finita), Belden ha passato la giornata online, prendendo in giro Barack Obama (“LOL stronzo non puoi più bombardare lo Yemen”) e il nazionalista bianco Richard Spencer.

Qualche settimana dopo il suo tabor è tornato all’Accademia per un altro addestramento, e quando Belden è entrato in una stanza dove c’erano i nuovi volontari europei uno di loro lo ha riconosciuto e ha urlato “PissPigGranddad!”. Era uno dei tanti volontari che avevano deciso di unirsi alle Ypg anche grazie a lui. “È strano”, mi ha confessato Belden. “Penso di essere diventato un esponente di spicco della sinistra”. Snyder ha ammesso di aver provato una certa gelosia quando alcune follower hanno chiesto a Belden se ci fosse una Piss-PigGrandma. A febbraio Belden ha partecipato a Chapo Trap House, una serie di podcast di culto per ladirtbag left. Belden non aveva bisogno di presentazioni, e gli ospiti hanno passato gran parte della puntata a fare battute sulla masturbazione e a parlare della lotta contro lo Stato islamico come se fosse un videogioco. I suoi follower non se ne sono persi un secondo. “Non sei solo, compagno”, ha scritto @MarxNot-Narcs. “Sto ascoltando l’episodio e mi sto facendo una canna per solidarietà”.

Problemi di celebrità

Avere un pubblico così numeroso ha portato dei risultati concreti. A febbraio Belden ha pubblicato un invito a partecipare a una raccolta fondi per comprare medicinali e molti follower hanno contribuito. Ma la popolarità ha anche fatto aumentare la pressione. “Ora devo essere politico, e non ne sono capace. La politica è stucchevole”. Una parte di lui vorrebbe smettere di twittare, ma il suo comandante gli ha chiesto di continuare perché “è buono per la propaganda”.

La sua improvvisa celebrità ha attirato anche alcune critiche. Diversi ascoltatori di Chapo Trap House non hanno gradito quando ha ammesso che era andato in Siria anche perché voleva “combattere e capire se ne era capace”, mentre altri hanno criticato la leggerezza con cui sembra prendere la vita nella guerra civile siriana, in cui sono morte cinquecentomila persone. La corrente complottista della dirtbag left ha addirittura insinuato che potrebbe esserci qualcosa di poco chiaro nella storia di @PissPigGranddad, sostenendo che in una fotografia di un campo della Cia si vedrebbe un uomo che somiglia a Belden, il che è vero nel senso che l’uomo in questione è bianco e ha i capelli castani.

Belden si è improvvisamente ritrovato su una delle piccole linee di frattura della sinistra. Persone che hanno Marx e Lenin come avatar hanno messo in discussione la sua purezza ideologica su Reddit – “non dovremmo elogiarlo, compagni” – e lo hanno accusato per essersi involontariamente allineato con l’esercito statunitense, che recentemente avrebbe ucciso trenta civili in un raid aereo vicino a Raqqa. Altri militanti di sinistra si sono chiesti se Belden non sia troppo idealista. Uno di loro è preoccupato che Belden e altri militanti cresciuti nell’epoca della dirtbag left possano trovare esasperante la lentezza dei movimenti di sinistra negli Stati Uniti e che alla fine vengano delusi dal richiamo di una rivoluzione pura nel Rojava. “Quando penso al Rojava vedo un deserto e un sacco di palazzi distrutti”, mi ha detto Belden. “Non mi pare il genere di società socialista complessa di cui parlavano Marx ed Engels”.

Belden ha accettato alcune di queste critiche. Non vedeva di buon occhio il coinvolgimento degli Stati Uniti in Siria ed è consapevole che i suoi tweet spesso non riflettono gli aspetti più importanti del conflitto. Allo stesso tempo, però, ha sposato la filosofia della dirtbag left secondo cui la volgarità può essere politicamente efficace e l’umorismo davanti agli orrori del mondo può avere la sua utilità. In ogni caso, le immagini che lo ritraggono con in braccio dei cuccioli randagi sono state ritwittate più dei post seri.

Fronte interno

All’inizio di marzo Belden non aveva ancora partecipato a nessun combattimento ravvicinato. Ma il suo umore era più stabile mentre mi descriveva nel dettaglio le minacce che ora erano diventate costanti. Un volontario californiano era stato ucciso da un bombardamento turco. L’Is aveva cominciato a usare i droni per bombardare. Poco prima Belden aveva passato “il momento peggiore” della sua vita quando insieme ad altri volontari stava sminando un villaggio appena conquistato. Camminava dietro un altro soldato quando ha sentito un “clic” e ha capito che il suo compagno aveva messo il piede su una mina. “Per un istante sono rimasto immobile e ho pensato ‘eccoci qua’”. Fortunatamente l’ordigno non è esploso.

Belden aveva cambiato di nuovo plotone, ancora alla ricerca di un vero scontro, e stava ricevendo un “addestramento avanzato” in preparazione per l’assalto finale a Raqqa: quattro ore al giorno di tuffi per schivare le esplosioni, e di corsa lungo un muro con uno zaino pesantissimo e un fucile. Aveva sentito dire che gli avrebbero messo un elmetto e gli avrebbero sparato in testa per fargli capire com’è. Il Pentagono, nel frattempo, stava cercando di capire cosa fare. La Turchia continuava a opporsi alla fornitura di armi ai curdi (dopo la sua apparizione su Chapo Trap House un giornale turco ha definito Belden “terrorista americano”). Dopo un lungo dibattito, a marzo l’amministrazione Trump sembrava aver trovato la risposta: diversi battaglioni di ranger e marine sono stati mandati in Siria per aiutare le Ypg e i loro alleati.

Belden doveva partire per il fronte il giorno dopo. “Spero di partecipare alla prossima fase dell’offensiva”, aveva detto. Ma quando abbiamo parlato, poche settimane dopo, l’offensiva non era ancora cominciata. Il suo tabor era rimasto in posizione difensiva, con qualche occasionale scambio di colpi con i combattenti dell’Is, e il momento più pericoloso era stato un attacco con razzi a lunga gittata. Erano passati sei mesi da quando Belden aveva lasciato San Francisco. Snyder gli aveva dato un ultimatum per fine marzo. “Se non torna brucerò tutte le sue cose e distruggerò la sua vita”, mi aveva detto.

Così Belden è tornato all’Accademia. Alla fine di marzo è stato fatto rientrare in Iraq ed è tornato a Sulaymaniya, dove ha passato qualche giorno in una casa sicura – senza il suo iPhone, che era stato confiscato – in attesa di prendere un aereo per gli Stati Uniti. Ha ammesso che era felice di andarsene proprio quando la presenza militare statunitense stava aumentando, ed era preoccupato dall’interrogatorio che avrebbe subìto alla frontiera. La polizia federale ha fatto visita alla famiglia di un volontario delle Ypg indiano-americano per sapere cosa faceva in Siria. Un altro volontario rientrato nel Regno Unito è finito sotto inchiesta per aver violato le leggi antiterrorismo.

Ma Belden sembrava più preoccupato di come sarebbe stata la sua vita a casa, soprattutto dopo che la sua fama aveva superato i confini di Twitter. I Socialisti democratici d’America, i cui iscritti sono triplicati nell’ultimo anno, hanno creato un’emoji con la faccia di Belden nella loro chat interna. Gli studenti dell’università di Glasgow lo hanno candidato al ruolo di presidente onorario, attualmente ricoperto da Edward Snowden, e hanno tappezzato il campus di poster che raffigurano Belden con un fucile e un cucciolo e lo slogan “A volte antisociale, sempre antifascista”.

A marzo l’attore statunitense Jake Gyllenhaal ha annunciato che reciterà in un film su un militante di sinistra che si arruola nelle Ypg. La notizia ha infastidito Belden, preoccupato che il film ignori le sue idee socialiste e sia solo una storia di guerra che parla di ragazzi in cerca di se stessi. “Voglio rovinarlo”, ha promesso. “Tra l’altro Jake Gyllenhaal non mi somiglia”.

Belden vorrebbe scrivere ancora, magari un libro. Ma non vuole parlare della Siria, perché in questo caso “darei ragione a tutte le persone convinte che l’ho fatto solo per me stesso”. Inoltre ha letto Hemingway e Orwell e non crede di avere niente da aggiungere al genere. “È un po’ come Per chi suona la campana, a parte che non faccio sesso. Cosa posso scrivere? ‘Ho cercato di trovare un posto per farmi una sega, e non ci sono riuscito’. Fine”.

Dopo aver lasciato la Spagna, Orwell viaggiò nel Mediterraneo con la moglie per andare a pesca, ma presto trovò quella vita “noiosa e deludente”. Quando ho chiesto a Belden cosa pensava di fare una volta a casa, oltre a rivedere Snyder e la sua famiglia, mi ha risposto: “Onestamente poco altro”. Voleva tornare a occuparsi di politica interna ed era incoraggiato dall’aumento dell’impegno politico negli Stati Uniti, ma era ancora preoccupato che la resistenza contro Trump fosse dirottata dalla sinistra moderata. “Voglio usare il piccolo capitale sociale che ho adesso per superare le divisioni tra i diversi gruppi radicali di sinistra”.

Di recente, un venerdì sera tardi, mi ha inviato un messaggio. Era pensieroso e mi ha scritto che militare nelle Ypg gli ha dato un senso di solidarietà che non ha mai visto altrove. La cosa più simile che ha provato sono i tour con i Warkrime: il cibo scadente, gli spazi stretti, il fatto che tutti puzzavano. Ma soprattutto la sensazione di avere un obiettivo comune. Belden sa che anche in patria ci sono battaglie da combattere, ma lasciare il Rojava è stato difficile. “Sono egoista e voglio partecipare a una vera rivoluzione”, ha detto. “È una straordinaria sensazione reale, come un’energia che non puoi trovare nella vita di tutti i giorni. Come se stessi vivendo davvero”.

Questo articolo è stato pubblicato il 5 maggio 2017 nel numero 1203 di Internazionale.

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