I curdi sono gli eterni perdenti della storia del Medio Oriente, regolarmente corteggiati e poi traditi. La loro epopea parte da molto lontano. Nel 1920 il trattato di Sèvres, che smantellò l’impero ottomano dopo la Prima guerra mondiale, riconobbe ai curdi il diritto a un’ “autonomia” che potesse sfociare nella nascita di uno stato indipendente. Da allora è passato un secolo e stanno ancora aspettando, dispersi attraverso quattro paesi: Iraq, Iran, Siria e soprattutto Turchia.

Ancora una volta il loro destino è in bilico, con sviluppi inattesi in Turchia e Siria che suscitano più diffidenza che speranza. In entrambi i casi risalta l’ambizione neo-ottomana del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan.

L’altro personaggio chiave di questa trama è Abdullah Öcalan, capo del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) che rivendica uno stato per i curdi. Öcalan, che oggi ha 75 anni, sconta una condanna all’ergastolo in Turchia da 25 anni, accusato di terrorismo.

Da alcune settimane, però, si è aperto uno spiraglio di dialogo tra lui, il governo turco e persino un partito ultranazionalista. Per il momento non c’è niente di concreto, ma lo scambio di comunicazioni è di per sé un evento straordinario.

L’obiettivo della trattativa è la fine della lotta armata condotta dal Pkk, ma per comprendere la posta in gioco bisogna allargare l’orizzonte. Il crollo del regime siriano ha cambiato le carte in tavola nella regione. Attualmente c’è ancora un’area della Siria che sfugge al controllo dei nuovi padroni del paese, quella nordorientale controllata dai curdi delle Forze democratiche siriane (Sdf). I combattenti curdi sono legati al Pkk di Öcalan e vengono presi di mira dalla Turchia.

Le Sdf si sono già scontrate con gli alleati siriani di Ankara, ma è stato solo il preludio di una guerra che la Turchia potrebbe scatenare da un momento all’altro. Il governo turco vuole creare una zona di sicurezza lungo la frontiera con la Siria.

Da una parte il dialogo, dall’altra la guerra: è tutta qui la complessità della situazione. Se in Turchia dovesse prendere forma un reale negoziato con Öcalan, le cose potrebbero cambiare anche per la Siria. Naturalmente è troppo presto per fare previsioni. Persino i leader curdi siriani sono divisi tra chi intravede un’opportunità e chi è più vicino alla prospettiva di una guerra civile in Siria.

In questo contesto bisogna ricordare che i curdi siriani sono sotto la protezione degli Stati Uniti, che mantengono circa 1.500 soldati sul posto.

Agli americani si aggiunge la Francia, in posizione defilata dopo aver ricoperto un ruolo determinante nella guerra contro il gruppo Stato islamico a partire dal 2015.

Durante il suo primo mandato, Donald Trump aveva deciso in un primo momento di ritirare le truppe dalla Siria, ma alla fine era stato convinto a non farlo. Come si comporterà una volta rientrato alla Casa Bianca? Senza la protezione di Washington le Sdf sarebbero più vulnerabili alle pressioni turche.

Questo groviglio è il frutto di decenni di guerre, di rivalità e di ambizioni in una regione costantemente destabilizzata. Oggi i curdi temono di cadere nuovamente vittime di un riassestamento regionale, abbandonati (o peggio, traditi) da chi ha giurato di sostenerli.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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