Immobile per un attimo, il petto nudo, la presa sullo scoglio una volta risalita la risacca, guarda l’obiettivo del fotografo. Alle spalle del ragazzo, dove si infrangono le onde, si staglia il fronte delle case sull’oceano Indiano. Scatti italiani a Mogadiscio, in un altro tempo, a tratti sospeso e misterioso come quadri di Giorgio De Chirico. Edifici vuoti, disegni razionalisti e però palme e piante tropicali battute dal vento che sa di acqua marina.

Si può cercare riparo oltre l’ingresso del palazzo del sultano di Zanzibar, con la scalinata e le merlature ottocentesche sul bianco abbacinante della facciata: nella sezione centrale, intorno al pozzo, superati i soffitti in legno con le iscrizioni in arabo, c’è un giardino di piante d’incenso.

O proseguire in un’immaginaria passeggiata fino alla masjid Jaam’a, la moschea che da 800 anni domina il quartiere medievale di Hamarweyne con il suo minareto cilindrico, lungo l’asse di quella che al tempo del colonialismo italiano sarebbe diventata via Secondo lido.

Vedere la città con altri occhi
“È davvero incredibile che un paese come la Somalia, che ha centri storici e siti archeologici tra i più antichi dell’Africa, abbia fatto così poco per proteggere il patrimonio del passato”, sospira Khalid Maou Abdulkadir, professore di giornalismo e deputato, presidente della commissione parlamentare per l’informazione, i mass media e la cultura. “L’importanza e la fama di Mogadiscio derivano dalla capacità dei suoi abitanti, che riuscirono a internazionalizzare il paese oltre mille anni fa; già a quei tempi fu creata una rete commerciale straordinaria che portava, attraverso l’oceano, fino all’Iran e all’India, al Kenya e alla Tanzania”. A testimoniarlo sono anche le mappe, le ricostruzioni e le fotografie raccolte ora da Gangemi editore nel catalogo di una mostra dal titolo Mogadiscio e la sua evoluzione storico-urbanistica: pagine di storia della città.

L’esposizione, inaugurata una prima volta nella capitale somala nel dicembre 2018, è fondata su documenti raccolti nel corso di 15 anni in diversi archivi italiani, sia pubblici sia privati, ed è stata possibile grazie a una collaborazione internazionale di studiosi. I contributi sono dell’Università nazionale somala e di Roma Tre, del Politecnico di Torino e dell’Università di Bologna, dell’Università di Camerino, del Politecnico di Milano e ancora dell’Accademia delle arti e delle scienze di Mogadiscio.

Il risultato è una narrazione condivisa con pannelli e pagine in somalo, inglese e italiano. I cataloghi sono stati appena distribuiti nelle biblioteche italiane specializzate in storia delle colonie, da quella della Società geografica a Roma alla Amílcar Cabral di Bologna, ma anche in altri paesi: perfino oltre Atlantico, alla Ottawa public library o all’Art institute of Chicago library, in città dove esistono comunità con radici somale. Tutto, però, torna a Mogadiscio. Grazie a fondi dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics), che ha sostenuto la mostra e la pubblicazione, i volumi arriveranno nelle scuole della città e saranno proposti anche come testi di studio.

Passato e presente, ferite e opportunità si intrecciano di continuo rileggendo le storie con lo sguardo rivolto ai rischi di oggi

“La speranza è che attraverso questa lettura i giovani somali possano vedere la loro città con altri occhi e soprattutto con un altro stato d’animo, adoperandosi per il recupero delle architetture ‘residue’ e impedendo nuove distruzioni”, ci spiega la professoressa Maria Spina, curatrice della mostra insieme con Abdulkadir e un’altra studiosa italiana, Gabriella Restaino.

Il 75 per cento dei somali ha meno di 35 anni e non ha mai visto Mogadiscio prima che tanti suoi tesori fossero sfregiati o distrutti durante il conflitto civile, scoppiato nel 1991 con la caduta del generale Siad Barre e la fine della sua “repubblica democratica”. Le foto italiane furono scattate in epoca fascista, negli anni venti e trenta del novecento, sul finire dell’avventura coloniale cominciata nel 1889. Seguono passeggiate virtuali lungo le strade della città: il riferimento sono guide turistiche pubblicate nel 1929 e nel 1938, alla vigilia della seconda guerra mondiale e del collasso dell’impero mussoliniano.

La mostra, che in primavera dovrebbe arrivare in Svezia, a Stoccolma, capitale con una diaspora somala importante, è una raccolta di cartoline della “Perla dell’oceano Indiano”, “quella città fortificata, con quattro torri, molti edifici di pietra di quattro piani e moschee dai minareti cilindrici” che nel 1499 sconsigliò lo sbarco a Vasco da Gama.

L’assalto degli speculatori
Ma cosa resta oggi di tanto splendore, dopo la guerra, con gli attentati dei ribelli islamisti di Al Shabaab che mettono ancora alla prova i fragili equilibri della Somalia divenuta “repubblica federale”? “La maggior parte di ciò che aveva un’importanza storica è stato distrutto oppure, come nel caso dei manoscritti privati e delle collezioni del museo nazionale, è stato trafugato e rivenduto all’estero”, risponde Nuredin Hagi Scikei, laureato in ingegneria a Bologna negli anni settanta, autore del libro Exploring the old stone town of Mogadishu (Cambridge Scholars Publishing), ora tra gli ispiratori della mostra. “Mogadiscio aveva due quartieri storici, Shingaani e Hamarweyne, dove era concentrata la quasi totalità delle costruzioni medievali e del periodo italiano; Shingaani è stato raso al suolo durante la guerra, mentre buona parte delle costruzioni di Hamarweyne si è miracolosamente salvata”. Secondo l’esperto, “ora che i profughi stanno rientrando e la capitale è in piena ricostruzione stanno nascendo altri problemi, come quello degli speculatori che vorrebbero impadronirsi di Shingaani e di qualsiasi altra ‘area non costruita’, come per esempio i giardini, che ormai non esistono più a Mogadiscio”.

Il Palazzo del governatore sulla traversa di via Primo luglio, Mogadiscio, 1916 circa. (Archivio Alessandro Tuzza, Milano)

Passato e presente, ferite e opportunità si intrecciano di continuo rileggendo pagine di storie con lo sguardo rivolto ai rischi di oggi e a un cammino nuovo che potrebbe essere intrapreso. Secondo Hagi Scikei, “l’Italia in passato fece errori gravi, come quando dette l’avvio a progetti edilizi in uno dei cimiteri medievali più antichi dell’Africa, che è poi quello dove sorge l’attuale villa presidenziale”. Nell’area c’erano lapidi medievali con date, nomi di persone e di città: era un libro aperto su secoli di storia. Interventi con conseguenze simili riguardarono il quartiere di Hamar Jab Jab. Nell’area dove fu costruita la sede dell’aviazione italiana c’erano quasi tre ettari di resti archeologici, che non furono protetti.

È possibile ora immaginare un approccio differente? Un segnale è arrivato il 9 dicembre. Per la prima volta dai tempi di Barre e di Bettino Craxi presidente del consiglio, l’Italia e la Somalia hanno firmato un accordo bilaterale in materia di cooperazione allo sviluppo. Secondo Shukri Said, blogger e giornalista italosomala in quei giorni a Mogadiscio, “si tratta di un’intesa politica che fornisce la cornice generale e può in prospettiva rilanciare un ruolo dell’Italia in Somalia, restituendole un’influenza che negli ultimi anni si è ridotta parallelamente all’emergere di altri attori, dalla Turchia al Qatar”.

La necessità della sicurezza
Di un impegno “strategico” e “multidimensionale” parla la viceministra degli affari esteri e della cooperazione internazionale Emanuela Claudia Del Re. Sociologa, in prima fila sui dossier africani dal Sahel al mar Rosso, parla di ritorno da Mogadiscio. In città ha firmato l’intesa del 9 dicembre e partecipato alla conferenza dei donatori dell’Università nazionale somala, riaperta nel 2014 dopo la fase più aspra del conflitto civile. “Ho annunciato un contributo della cooperazione italiana di circa cinque milioni di dollari”, dice. “Una parte dei fondi è destinata alla ristrutturazione del principale campus dell’ateneo, un’altra a attività di formazione del personale docente e un’altra ancora al raddoppio delle borse a studenti che intendano rafforzare il proprio percorso in Italia”. Nel 2019 gli assegni per i neolaureati erano stati 16. Ma perché l’università funzioni serve anzitutto sicurezza.

Piazza Jaama’a e la moschea, Mogadiscio, 1927-1930. (Laboratorio di Ricerca Storica Iconografica; Dip. Scienze Politiche, Università Roma Tre, Roma)

Su mandato dell’Unione africana, in Somalia restano dispiegati circa 19mila militari. Il paese è ancora in cerca di pace: Al Shabaab ha dovuto ritirarsi anni fa dai porti strategici del Jubaland, la regione del sud al confine con il Kenya, ma continua a compiere attentati a Mogadiscio e in altre città. Il 18 dicembre i ribelli ne hanno rivendicato uno a Galkayo, nella Somalia centrale, a un comizio al quale sarebbe dovuto intervenire il primo ministro Mohamed Hussein Roble.

Nell’esplosione sono morti tre ufficiali dell’esercito, tra i quali Mukhtar Abdi Aden, comandante regionale di Danab, un’unità di élite addestrata dai militari americani. E proprio agli Stati Uniti, con il prossimo ritiro di buona parte dei 700 soldati dispiegati in Somalia in chiave “antiterrorismo”, sono legate nuove incognite. Il Pentagono ha precisato che non si tratta di “un cambio di politica” suggerendo che la scelta sia parte di un ridimensionamento più generale delle missioni all’estero, dal Corno d’Africa fino all’Afghanistan.

Vista da Mogadiscio, la scelta sembra però creare nuovi vuoti, che potrebbero essere occupati per esempio dal Qatar o dalla Turchia, già in prima fila nella gestione dell’aeroporto internazionale o del primo ospedale della città, intitolato al presidente Recep Tayyip Erdoğan. Gli scenari sono sempre in mutamento, come i legami, denunciati più volte ma ancora da chiarire, tra Al Shabaab e i suoi sostenitori dall’altra parte del mar Rosso, a cominciare da sauditi ed emiratini.

Ostacoli diversi
Non parla di geopolitica Abdulkadir, il presidente della Commissione parlamentare. In perfetto italiano (tra il 1975 al 1981 ha studiato all’Accademia di belle arti di Ravenna e alla facoltà di sociologia a Urbino), si sofferma sui cambiamenti nel vissuto quotidiano e nella mentalità. “A Mogadiscio ora si può andare in giro con un telefono senza il timore costante di essere rapinati”, dice. “La scuola funziona, l’università ha riaperto, la gente chiede un governo stabile che garantisca i diritti umani e favorisca lo sviluppo economico”.

Come andrà lo diranno anche i prossimi mesi, con appuntamenti attesi, a cominciare dalle elezioni legislative e presidenziali in programma nel 2021, per ora a febbraio. Abdulkadir ha fatto parte del gruppo parlamentare che ha redatto un progetto di legge, “una persona, un voto”, che avrebbe garantito per la prima volta il suffragio universale aggirando meccanismi intermedi e sistemi di rappresentanza comunitaria. “Il testo si è però scontrato con critiche e resistenze che hanno portato il governo federale e le amministrazioni degli stati regionali a riproporre nella sostanza, sia pur con alcuni miglioramenti, lo schema impiegato nel 2016”, spiega il deputato. “Ora sono tutti d’accordo, opposizione compresa, e sono cominciati i negoziati sulla composizione della commissione elettorale”.

Gli ostacoli sono però diversi, come hanno confermato di recente il rifiuto del Jubaland di nominare un suo rappresentante e la rottura da parte somala delle relazioni diplomatiche con il Kenya, accusato di ingerenze, in particolare nella regione a ridosso del confine.

Nelle prossime settimane un ruolo l’avrà il presidente della Somalia, Mohamed Abdullahi Mohamed, già ambasciatore negli Stati Uniti, in carica dal 2017 e criticato da due suoi predecessori convinti che voglia servirsi dei buoni rapporti con Ankara per essere rieletto (è soprannominato “Farmajo”, perché pare il padre avesse un debole per il formaggio italiano). Nel medio e lungo periodo toccherà ai giovani e, secondo Hagi Scikei, almeno un po’ anche all’Italia. “Credo”, dice l’ingegnere-architetto, “che un paese di così antica e splendida civiltà, di provata capacità nel valorizzare il proprio patrimonio culturale, debba sentire l’obbligo morale di aiutare la Somalia cominciando a creare un vero centro di ricerca per il recupero del passato e delle ricchezze di Mogadiscio”.

La mostra era stata inaugurata nel 2018 nell’ex palazzo del governatore, ora sede del comune, anche con questo impegno. “Gli italiani sono tornati”, aveva detto, accogliendo Del Re, il sindaco Osman Yarisow. Era già nel mirino di Al Shabaab e nel luglio 2019 è stato ucciso in un attentato suicida mentre lavorava nel suo ufficio. Proprio di fronte ci sono i resti della cattedrale, costruita alla metà degli anni venti del secolo scorso. Sul sagrato il 9 luglio 1989 fu assassinato l’ultimo vescovo di Mogadiscio, monsignor Salvatore Colombo. Demoliti i due campanili e sfregiate le navate, s’intuiscono motivi vegetali sui ruderi dei capitelli e sulla facciata in stile greco-normanno. Secondo il modello del duomo di Cefalù.

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