Spesso si dice che i silenzi possono essere rumorosi, soprattutto quando a tacere sono i politici. Negli ultimi mesi nessun silenzio è stato rumoroso come quello di Joe Biden, candidato del Partito democratico alle elezioni presidenziali del 3 novembre. In realtà i silenzi sono stati due. Il primo sull’emergenza coronavirus: mentre il presidente Donald Trump dimostrava di non avere una strategia per affrontare la crisi sanitaria, e poi faceva chiaramente capire che il suo piano consisteva nel far ripartire l’economia a spese dei settori sociali più deboli, Biden è rimasto stranamente in disparte.
Il secondo silenzio, più pesante, riguarda le accuse di molestia e violenza sessuale avanzate da Tara Reade, una sua ex collaboratrice. Da settimane commentatori e attivisti di sinistra (e a quanto pare i suoi stessi collaboratori) chiedono all’ex vicepresidente di fare una dichiarazione entro la fine di aprile, mese in cui ogni anno negli Stati Uniti è organizzata una campagna per sensibilizzare le persone sulla violenza sessuale. A oggi Biden si è rifiutato di parlare della vicenda, e questo non solo ha fatto aumentare i dubbi sulla sua capacità di gestire la futura campagna elettorale contro Trump, ma sta anche creando – in un momento spartiacque nella storia statunitense – una pericolosa frattura nella sinistra americana.
Conferme dal passato
Tara Reade, che ha lavorato per Biden nel 1992 e nel 1993, è una delle otto donne che nel 2019 si sono fatte avanti sostenendo di essere state baciate, toccate e abbracciate dal senatore in un modo che le aveva fatte sentire a disagio. A marzo di quest’anno Reade ha aggiornato la sua testimonianza, formulando accuse più gravi. La donna, che oggi ha 56 anni, sostiene che Biden l’ha aggredita nei corridoi del congresso, spingendola contro un muro e infilandole la mano sotto la gonna. “Ricordo che è successo tutto molto velocemente”, ha detto durante un’intervista, “le sue mani erano su di me e sotto i miei vestiti”. Poi l’avrebbe penetrata con le dita. “Ricordo che mi disse: ‘Vuoi che ci spostiamo da un’altra parte?’. Quando l’ho allontanato, mi ha detto: ‘Dai, lo sento che ti piaccio’”. Il 9 aprile Reade ha sporto denuncia formale per aggressione sessuale, sostenendo che dopo aver fatto quell’intervista ha ricevuto numerose minacce di morte. Inoltre sostiene che all’epoca dei fatti presentò un reclamo scritto.
Le accuse di Reade – come quelle delle altre donne che si sono fatte avanti – non sono sostenute da testimoni oculari. Ma nelle ultime settimane la sua versione è stata corroborata da altre persone: lo scorso fine settimana sono emersi video e audio di una puntata dello show televisivo di Larry King del 1993, in cui una donna al telefono racconta che sua figlia ha avuto un problema con un importante politico, e che quando ha provato a lamentarsi con i suoi supervisori è stata demansionata. Reade sostiene che la donna che chiamò durante lo show fosse sua madre. Il fatto che Reade sia stata allontanata dall’ufficio di Biden per aver parlato sembra essere sostenuto anche da un articolo del New York Times, in cui alcune persone che all’epoca erano nello staff del politico come stagisti sostengono che all’improvviso Reade smise di supervisionarli.
Poi è emersa la testimonianza di Lynda LaCasse, una donna che all’inizio degli anni novanta era vicina di casa di Reade. LaCasse sostiene che Reade intorno al 1995 le raccontò piangendo dell’aggressione sessuale. “Ricordo che mi parlò della gonna, delle dita dell’uomo. Ricordo che era devastata”. Anche il fratello di Reade e un ex collega hanno sostenuto di aver ascoltato la storia all’inizio degli anni novanta.
I collaboratori di Trump stanno già usando le accuse per sottolineare l’ipocrisia di Biden e dei democratici
Non sappiamo per il momento se e come Biden deciderà di difendersi da queste accuse, e non sappiamo se queste accuse finiranno per affossare la sua campagna elettorale in vista delle presidenziali. Il New York Times ha intervistato Tresa Undem, una sondaggista specializzata in ricerche su questioni di genere, secondo cui finora la accuse di Reade e il silenzio di Biden non hanno intaccato il sostegno della base democratica al candidato. “Ma le cose potrebbero cambiare in fretta, e tutto dipenderà da come Biden e il suo comitato elettorale gestiranno la situazione in evoluzione”.
Finora i collaboratori di Biden hanno minimizzato la vicenda, sottolineando che le inchieste compiute da vari giornali finora non hanno trovato riscontri su comportamenti inappropriati di Biden, facendo notare che in passato Reade ha elogiato Biden, anche su questioni di equità di genere, e mettendo in risalto il ruolo decisivo dell’ex vicepresidente nell’approvazione del Violence against women act, un’importante legge del 1994 contro la violenza di genere. Inoltre si sono detti convinti che le accuse non modificheranno la percezione che le persone hanno di Biden, un marito e un padre devoto, con una storia familiare segnata da varie tragedie.
La storia recente insegna che quando una donna si fa avanti per denunciare il comportamento di un uomo di potere, altre che hanno vissuto una situazione simile si fanno coraggio e raccontano la loro storia, e a quel punto diventa difficile per l’uomo di potere gestire l’onda d’urto delle accuse. Nel frattempo i collaboratori di Trump stanno già usando le accuse per sottolineare l’ipocrisia di Biden e del Partito democratico sulle questioni di genere, visto che nel caso delle accuse di violenze e molestie contro Donald Trump si sono sempre schierati dalla parte delle donne (il presidente è stato accusato di molestie o violenza sessuale da almeno 17 donne). Il presidente punterà sulla vicenda Reade – e sull’accusa a Biden e a Obama di non aver arginato l’avanzata della Cina quando ne avevano la possibilità – per recuperare consenso man mano che si avvicineranno le elezioni presidenziali.
Al di là dei calcoli politici e delle strategie, ci sono un paio di elementi da sottolineare che potrebbero segnare gli scenari politici degli Stati Uniti nei prossimi mesi e anche oltre. Il primo riguarda la forza (o la debolezza) della candidatura di Biden. Il secondo ha a che fare con il ruolo sempre più centrale delle donne nella politica statunitense e delle conquiste del movimento #MeToo. Questi elementi si intrecciano tra loro e potrebbero determinare il futuro della sinistra americana.
Le zavorre del candidato
Per quanto riguarda Biden, non c’è dubbio sul fatto che è sempre stato un candidato problematico, anche prima che emergessero le accuse di Tara Reade. Due anni e mezzo dopo l’inizio dello scandalo Weinstein e del #MeToo – e tre anni e mezzo dopo l’insediamento di un presidente apertamente misogino – è chiaro che il Partito democratico non ha fatto gli stessi passi avanti del resto della società. Se è vero che alle elezioni di metà mandato il partito ha dato una rinfrescata ai suoi ranghi portando molte donne giovani e radicali tra i banchi del congresso, va detto che la corsa alla nomination per la presidenza è stata dominata da due uomini anziani, Biden e Bernie Sanders.
E oggi, mentre si avvicina l’elezione più importante della storia recente in un contesto sociale di grandi trasformazioni, la sinistra americana si ritrova a puntare su un politico della vecchia scuola, con una storia politica alle spalle molto lunga e che si porta dietro delle zavorre pesanti, anche sul tema dei diritti delle donne. La vicenda Reade farà risaltare ancora di più alcune delle scelte fatte da Biden in passato: il suo sostegno all’emendamento Hyde, che impedisce di usare i fondi federali per aiutare le donne ad abortire, e il fatto che come presidente della commissione giustizia del senato contribuì a sminuire le accuse di violenza sessuale formulate da Anita Hill contro il futuro giudice della corte suprema Clarence Thomas. Nel frattempo Biden ha cambiato idea sull’emendamento e ha chiesto scusa sulla vicenda Hill, ma resta la sensazione che non sia la persona giusta per attuare il cambiamento che molte donne americane, soprattutto quelle nate a partire dai primi anni ottanta, vorrebbero. La vicenda Reade potrebbe alimentare questa percezione.
Questo ci porta al secondo punto, cioè al fatto che nelle prossime settimane e nei prossimi mesi molte donne di sinistra si troveranno in una situazione molto complicata. La giornalista Rebecca Traister la definisce la Biden trap, la trappola di Biden. A essere in trappola sarà prima di tutto la persona che Biden sceglierà come candidata alla vicepresidenza (nell’ultimo dibattito con Sanders si è impegnato a scegliere una donna). “Chiunque dovesse finire per ricoprire questo ruolo, si troverà a bere un calice amaro, perché dovrà rispondere continuamente di come Biden ha trattato le altre donne, compresa Tara Reade”, scrive Traister. Soprattutto se, come sembra probabile, Biden sceglierà una politica che in passato ha condannato aggressivamente gli abusi degli uomini di potere contro le donne, come per esempio la senatrice Elizabeth Warren. “Oppure Biden potrebbe scegliere una donna che non si è mai distinta come femminista o per posizioni radicali. Sarebbe forse un segnale ancora più inquietante per tanti elettori ed elettrici”.
In ogni caso, se alla fine Biden dovesse perdere, la potenziale candidata sarebbe considerata, insieme a milioni di donne americane, corresponsabile di una sconfitta epocale. Con conseguenze disastrose per gli anni a venire.
eMa anche tantissime elettrici dovranno decidere se bere l’amaro calice. Scrive Traister: “Molte donne che non avrebbero mai voluto Biden come candidato si troveranno a scegliere tra lui e la prospettiva di un secondo mandato di Trump, che nei quattro anni successivi potrebbe non solo accelerare la catastrofe climatica ma anche smantellare definitivamente il sistema sanitario, politicizzare ulteriormente i tribunali e indebolire le istituzioni democratiche. Uno scenario che colpirebbe soprattutto le donne”.
Questi paradossi e queste contraddizioni spiegano l’aggressività del dibattito nato negli ultimi giorni. Alcune commentatrici di sinistra hanno sminuito la versione di Reade in modi non molto diversi da come i commentatori e i politici di destra hanno cercando di smontare altre accuse contro altri uomini di potere. Sul New York Times Michelle Goldberg ha usato alcuni vecchi post in cui Reade parlava bene di Vladimir Putin per screditare la sua storia. Su The Nation Joan Walsh ha scritto di avere dubbi sulla vicenda perché Reade ha cambiato la sua versione dei fatti più di una volta. Un elemento in realtà abbastanza normale in questo tipo di storie, dovuto al fatto che all’inizio le donne non la raccontano per intero – o non la raccontano affatto – per timore di ritorsioni. Negli stessi giorni alcune importanti esponenti del Partito democratico si sono schierate preventivamente con Biden, sostenendo che le accuse non sono credibili. Tra loro ci sono le senatrici Kamala Harris e Amy Klobuchar (che si erano candidate alle primarie proprio contro Biden) e Stacey Abrams, ex deputata della Georgia che alcuni danno come una possibile candidata alla vicepresidenza.
Al di là dei nuovi elementi che emergeranno sulla vicenda Reade, e al di là come ne uscirà Biden, è evidente che le ripercussioni politiche vanno oltre le elezioni presidenziali. I rischi sono enormi: alla fine gli Stati Uniti potrebbero ritrovarsi con Trump alla Casa Bianca per altri quattro anni, messi in ginocchio dalle conseguenze della pandemia e con un movimento femminista più debole.
Aggiornamento: il 1 maggio Joe Biden ha rotto il silenzio con un articolo su Medium e un’intervista al programma televisivo Morning Joe. L’ex vicepresidente sostiene che il racconto di Tara Reade è falso e che quello di cui è accusato non è mai successo. Biden sostiene che il reclamo scritto che la donna dice di aver presentato, se esiste, può essere solo tra i documenti dell’archivio nazionale, e ha chiesto ai funzionari dell’archivio di cercarlo.
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