“Avrai bisogno del bavaglino. Qui ci si sporca”. Un grembiule bianco di plastica, piegato elegantemente, è stato disposto con cura accanto alla ciotola di ceramica e alle bacchette. Sulla tovaglia, scintillanti come strumenti chirurgici, ci sono degli utensili cromati: lame seghettate, ganasce, forchettoni.
Sul menù laminato c’è scritto in corsivo rosso: “Da Harry – Il ristorante dei granchi piccanti di Singapore (gli stessi guru dal 1982)”. Una torre di ciotole di legno viene sbattuta rumorosamente sul nostro tavolo. “Queste sono per i resti. Ce ne saranno parecchi”.
Sono a tavola con gli altri ragazzi della band e alcuni amici australiani. Ci hanno rivelato il grande segreto di Sydney: il top del cibo primitivo. Entrando nel ristorante siamo passati accanto a una pila di cassette di plastica con dentro gli enormi mostri verdi che stiamo per divorare: i granchi mud (Scylla serrata), una specie di acqua dolce che vive nei fiumi dei Territori del Nord, vicino a Darwin.
Mi chino per guardarli meglio: gli occhietti guizzano di qua e di là e i granchi si tirano su dritti, attaccandosi allo spago azzurro con le grosse chele mentre tentano disperatamente di staccare il mio naso da ficcanaso. Dieci minuti dopo, la loro maestosità è distrutta: sono diventati un groviglio di chele arrostite, tutte rosse, cosparse di salsa barbecue. Afferro un paio di lucenti zampe tarantoline e mi do da fare con gli attrezzi.
La carne è dolce, più dolce di quella dei loro amici che vivono nell’oceano. Ogni portata è un nuovo intreccio di chele con una salsa ogni volta diversa: sale e pepe, peperoncino, zenzero e scalogno, ostriche, fagioli neri.
È buonissimo. E anche divertente. L’aspetto migliore del mangiare coincide con la parte migliore del socializzare: sono circondato da scrocchi, sgranocchiamenti, succhi, risucchi, risate. Gli australiani chiacchierano dei loro barbecue. “Io mi sono appena comprato un barbecue Beefmaster”. “Quello con la rotisserie?”. “No, ma ha il fornello per la pentola wok!”. “Ok, ma quello che conta sono gli utensili”. “Ce l’hai un Bar-B-Mate?”. “Troppo fico! Affettatrice, spatola, forchettone, apribottiglie e punteruolo per salsicce – tutto in un unico attrezzo!”.
La pancia mi sta per esplodere, le mie papille gustative se la sono goduta a sufficienza e intorno a me ci sono le persone che ho voglia di avere intorno a me. Fuori, una scritta verde al neon lampeggia: “Feeling good”. Silenziosamente, concordo.
Internazionale, numero 631, 2 marzo 2006
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