“Perché non vai giù?”. “Ho paura”. “Non c’è motivo, questi ragazzi vanno su e giù senza problemi”. “È proprio per questo che ho paura. Io non sono un ragazzo”. L’uomo insiste, e anch’io: non ho nessuna intenzione di salire su una tavola di legno lunga 80 centimetri e larga 20, appesa a una corda fissata a un gancio di metallo.
Ho paura che la corda che mi porterà in fondo al tunnel si possa rompere. E un volo di 12 metri non è uno scherzo. “Non è così profondo”, dice l’uomo. È vero, ci sono tunnel che arrivano fino a 35 metri. Ma non cedo.
I pochi chilometri della frontiera tra la Striscia di Gaza e l’Egitto sono molto più tranquilli rispetto al novembre del 2008. Da qualche giorno gli egiziani hanno introdotto misure contro il contrabbando. E i palestinesi sono ancora impegnati a ricostruire i tunnel colpiti dall’aviazione israeliana.
Servono 25mila dollari per riparare il tunnel che ho davanti. Venti operai sono impegnati nei lavori, con turni di dodici ore. Ogni operaio prende 120 shekel (circa 21 euro) per una giornata di lavoro.
Gli egiziani non impediscono l’ingresso di gasolio e benzina. Le auto possono quindi circolare e i prezzi sono bassi. Anche le sigarette, le barrette di cioccolato e i vestiti sono a buon mercato, segno che alcuni tunnel funzionano bene. Lo stesso discorso vale per i computer e i fax. Evidentemente gli egiziani non vogliono un blocco totale del contrabbando.
L’altro giorno una delle impiegate di un ufficio di Gaza stava distribuendo caramelle a colleghi e clienti. “La madre e la sorella sono appena tornate da anni di esilio e lei vuole festeggiare”, mi hanno spiegato.
Gli egiziani non le hanno fatte passare dal valico ufficiale con la Striscia perché non hanno una carta d’identità palestinese (è l’effetto delle pressioni israeliane per togliere la cittadinanza a chi va all’estero). Con i loro documenti temporanei, le due donne hanno così raggiunto l’Egitto e poi sono entrate a Gaza attraverso un tunnel.
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