Dev’essere la mia immaginazione, ho pensato quando l’agente della dogana all’aeroporto di Newark mi è venuto incontro rilassato e gentile. Da otto anni vivo con ansia il momento del controllo passaporti negli aeroporti statunitensi.
Gli impiegati sono sempre scontrosi e sospettosi. Forse pensano che sia una terrorista, una lavoratrice clandestina o una piccola criminale. Chissà. La cosa più inquietante è che spesso anche loro appartengono a minoranze (afroamericani, latinoamericani o asiatici), ma sembrano compiaciuti del loro potere. Così si permettono di sbraitare contro i passeggeri esausti, che aspettano il turno per spiegare i motivi della loro visita nella grande America.
Ma il 18 maggio è stato tutto diverso. L’impiegata ci ha divisi in più file senza urlare. Ha chiesto gentilmente a una persona di non usare il cellulare. L’addetto ai passaporti ha corretto di persona il mio modulo per il visto e, quando ha saputo che avrei partecipato a una conferenza sulla questione israelo-palestinese, ha detto: “Ma quando la finirete con questo conflitto? Non se ne può più”. Era la prima volta che avevo una conversazione amichevole con un agente della dogana statunitense, e ho pensato che fosse una trappola. Invece no, era veramente interessato. Gli ho detto che speriamo molto in Obama e lui ha risposto: “Sperate che vi venda più armi?”. “Al contrario, che smetta di vendercele”, ho concluso.
A Princeton il mio ospite, un latinoamericano con moglie greca, ha confermato le mie impressioni. Sono tornati in settimana da Madrid, rimanendo colpiti dalla facilità con cui lei è entrata (con una green card). Anche la moglie, insegnante di letteratura, aveva passato parecchi momenti difficili con gli agenti della dogana.
Allora non è la mia immaginazione. Da quando Obama è diventato presidente, l’atmosfera è cambiata e questo si riflette anche sugli agenti della dogana, che hanno smesso di comportarsi come gendarmi dell’impero.
*Traduzione di Nazzareno Mataldi.
Internazionale, numero 796, 22 maggio 2009*
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