I giornalisti in un paese straniero rischiano prima o poi di “diventare del posto”. Ma è un rischio che può essere evitato ruotando spesso i corrispondenti. Secondo questa scuola, è meglio avere giornalisti inesperti che poco “obiettivi” (qualunque cosa significhi).
Dopo 17 anni passati nei Territori occupati palestinesi qualcosa sicuramente mi ha conquistato: l’umorismo palestinese – così toccante, triste e divertente – mi affascina.
Negli ultimi tempi mi sono data una missione: scrivere dell’area C, cioè del 61 per cento della Cisgiordania pienamente controllato da Israele. Sono stati gli accordi di Oslo a delimitare le tre zone (l’area A è sotto l’autorità amministrativa e di sicurezza palestinese e la B è sotto l’autorità amministrativa palestinese). La divisione doveva essere temporanea, fino al 30 giugno 1997, quando l’esercito israeliano si sarebbe dovuto ritirare.
Dodici anni dopo l’area A occupa il 18 per cento e la B il 21 per cento della Cisgiordania. Nel restante 61 per cento i palestinesi non possono costruire nemmeno una serra (figuriamoci una casa) senza un permesso delle autorità israeliane (che non viene concesso quasi mai).
La settimana scorsa le autorità israeliane hanno ordinato la sospensione dei lavori di costruzione di uno stadio a El Bireh (finanziato in parte dalla Fifa e dai governi francese e tedesco), accogliendo una richiesta dei coloni israeliani. A quanto pare una piccola parte del terreno è compresa nell’area C.
Ma non sono i coloni che costruiscono sui terreni palestinesi? Bisogna essere “del posto” per infuriarsi di fronte a tanta arroganza?
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