“Se [nome del candidato che odio] vince le elezioni, lascio il paese” è un adagio che abbiamo sentito provenire da diverse celebrità schierate politicamente durante le ultime campagne elettorali statunitensi. Tuttavia, queste dichiarazioni non si traducono quasi mai in azioni concrete. Succede perché, più che vere promesse, sembrano essere un meccanismo di difesa contro un’emozione profondamente sgradevole: la delusione. È un modo per rassicurarsi, una strategia per attutire in anticipo il senso d’impotenza e frustrazione che potrebbe emergere se l’evento temuto si verificasse davvero.

Se il candidato preferito perde, si può finire per sperimentare proprio quella terribile emozione. Alcuni possono viverla in modo così intenso da vedersi diagnosticare una condizione chiamata comunemente disturbo da stress post-elettorale.

Anche senza arrivare a questi estremi, chiunque teme di sperimentare qualche forma di delusione nella propria vita. Che si tratti della carriera, degli studi o di una relazione, è comune adottare comportamenti per proteggersi da questa emozione profonda e dolorosa. Alcune ricerche suggeriscono perfino che la delusione possa essere associata al disturbo da stress post-traumatico. Capire meglio questo fenomeno può però aiutare a ridurre la paura delle proprie emozioni e a prendere decisioni più consapevoli, creando esiti migliori. E magari a evitare di fare promesse affrettate, come quella di lasciare il paese.

Come scritto recentemente da due studiosi nell’Annual review of anthropology, la delusione è “il divario confuso, pieno di attriti e insoddisfazione tra le esperienze vissute e le aspettative non realizzate”. Questo sentimento ha qualcosa in comune con il rimpianto, perché si riferisce a un evento passato che non è andato come ci si aspettava. Tuttavia, mentre il rimpianto comporta il desiderio di aver agito diversamente, la delusione non sempre implica una responsabilità personale. Proprio per questa differenza, sulla rivista Cognition and Emotion, alcuni psicologi hanno osservato che il rimpianto spinge più spesso all’autocritica, mentre la delusione è associata alla tristezza e a un senso d’impotenza.

Per esempio, si potrebbe votare per un candidato e poi provare rimpianto, ossia rimproverarsi per quella scelta. Ma se il candidato votato perde, si può invece provare la sensazione di non avere alcun controllo sul modo in cui si è governati: ed è qui che entra in gioco il senso d’impotenza.

Questa ricerca offre ulteriori spunti sulla dimensione psicologica che distingue rimpianto e delusione. Se è una persona a deludere, spesso il sentimento prevalente è la rabbia. Al contrario, se a deludere è l’esito di una situazione, la reazione emotiva predominante è solitamente la tristezza.

Questi studi si concentrano spesso su ciò che gli psicologi definiscono “aspettative disattese”, cioè il contrasto tra quello che si pensa succederà (o dovrebbe succedere) e quello che si verifica realmente. È un fenomeno che coinvolge la dopamina, un neuromodulatore che regola sia le ricompense sia l’anticipazione delle ricompense nel cervello.

Il meccanismo funziona così: immaginando, per esempio, che verso le 11 del mattino si cominci a pensare al pranzo, la mente potrebbe tornare a un panino al tacchino gustato la settimana precedente in una rosticceria. I neuroni della dopamina generano una risposta per stimolare l’anticipazione e incoraggiare un piano: andare a prenderlo a mezzogiorno. Se, una volta arrivati, il panino corrisponde esattamente al ricordo, non si verifica alcuna risposta aggiuntiva di dopamina. Se invece il panino risulta ancora più buono del previsto, si produce un’ulteriore iniezione di dopamina, che ci spinge a tornare. Al contrario, se la rosticceria fosse chiusa, la risposta dopaminica crollerebbe, generando una lieve sensazione di abbattimento o, più semplicemente, di delusione.

Questo meccanismo si è probabilmente evoluto per ottimizzare l’ottenimento di ricompense, dal cibo ai partner, evitando di sprecare tempo ed energia. In passato, avrebbe spinto a tornare ripetutamente a uno specchio d’acqua in cui era facile trovare delle prede. Ma se loro avessero smesso di presentarsi, dopo un paio di delusioni l’interesse si sarebbe affievolito.

Le delusioni più dolorose, dal punto di vista psicologico, sono quelle in cui l’aspettativa su una ricompensa contrasta in modo netto con il risultato effettivo. La chiusura di una rosticceria, per esempio, provoca solo un lieve calo di dopamina, da cui ci si può riprendere in pochi minuti. Tuttavia, se l’aspettativa è quella di una proposta di matrimonio e invece il partner scompare improvvisamente, il deficit dopaminico sarà molto più grave e difficile da superare. In casi simili, potrebbe perfino emergere un periodo di anedonia, l’incapacità di provare piacere, un tipico sintomo di livelli irregolari di dopamina e della depressione clinica.

La delusione si rivela particolarmente forte per le persone ottimiste, che tendono a prevedere risultati superiori alla media, lontani da eventuali esiti negativi. Questo significa che, rispetto ai non ottimisti, vivono con maggiore frequenza il fenomeno delle aspettative disattese. In uno studio pubblicato sulla rivista Emotion nel 2010, due psicologi hanno analizzato le emozioni degli studenti prima e dopo aver ricevuto i risultati di un esame. I dati hanno mostrato che gli ottimisti, pur non provando più entusiasmo dei loro compagni prima di conoscere l’esito delle prove, reagivano in modo più negativo dopo aver visto i voti, perché le loro aspettative erano spesso più distanti dalla realtà.

Le nostre vite sono ricche di esiti incerti, spesso legati a ciò che ci sta più a cuore. Avere aspettative positive, inevitabilmente, espone al rischio di delusione. Non sorprende, quindi, che alcuni pensatori abbiano suggerito il pessimismo come unica via d’uscita. Nel diciannovesimo secolo, il filosofo Arthur Schopenhauer formulò questa teoria, sostenendo che “in genere troviamo che il piacere non sia mai all’altezza di ciò che ci aspettiamo, mentre il dolore è molto più doloroso”. Da questa visione, si potrebbe dedurre che il modo migliore per evitare la delusione sia non aspettarsi nulla di positivo, o addirittura prevedere il peggio.

Ma Schopenhauer era noto per la sua profonda infelicità, il che lascia dubbi sull’efficacia di questa strategia. Forse è più utile coltivare la speranza, nonostante le incertezze della vita, distinguendola però dall’ottimismo. Sebbene molti usino i due termini come sinonimi, sono concetti diversi. L’ottimismo implica una previsione, spesso illusoria, di un esito favorevole. La speranza, invece, si basa sulla convinzione che, anche in caso di un risultato deludente, esista una possibilità di migliorare la situazione. Come sottolineano alcuni ricercatori, sperare significa “avere la volontà e trovare il modo di realizzarla”. Proprio per questo, la speranza è molto più efficace dell’ottimismo quando si tratta di raggiungere la felicità.

La speranza non richiede di fare previsioni su ciò che succederà. Spinge solo ai credere che, qualunque sia l’esito, sarà possibile migliorare le circostanze e invita a riflettere su quali azioni intraprendere per farlo. In un certo senso, è ciò che fanno le persone quando dichiarano che lasceranno il paese se l’avversario vincerà le elezioni. Tuttavia, pensare di abbandonare tutto e trasferirsi all’estero è un gesto impulsivo ed estremo. Sarebbe molto più sensato dire: “Se vince chi non voglio, proverò delusione, ma, nonostante tutto, m’impegnerò a migliorare la realtà che mi circonda”. Questo principio vale per molte altre delusioni nella vita. Per esempio, se si aspira a una promozione, non è necessario cercare di prevedere se verrà concessa o meno. È più utile ammettere di desiderare quel riconoscimento e riflettere con lucidità su come reagire in modo costruttivo nel caso in cui non si ottenga.

Inoltre, la delusione fa parte di un processo neurobiologico che l’evoluzione ci ha trasmesso per favorire l’apprendimento. Cercare il lato utile di un fallimento è sempre possibile. Lo psichiatra Carl Jung riteneva che, di fronte alla delusione, si possa scegliere tra amarezza e saggezza, definendo quest’ultima “il conforto a tutte le sofferenze psichiche”.

Chi dichiara di voler lasciare il paese dopo una sconfitta elettorale cede all’amarezza, rinunciando a cogliere un’occasione di conoscenza. Lo stesso succede in altre situazioni in cui viviamo una delusione, come la fine di una relazione. Una reazione amara potrebbe essere: “Non voglio più avere a che fare con nessuno”. Una risposta più saggia, invece, consiste nel riflettere su come evitare, in futuro, di legarsi a persone con caratteristiche simili a quelle problematiche dell’ex partner.

Questa riflessione nasce per offrire conforto a chi sta vivendo una delusione post-elettorale e per proporre strategie più costruttive per affrontarla. Ma non tutte le persone si trovano in questa situazione: chi ha visto il proprio candidato vincere potrebbe ora sentirsi entusiasta. Anche un momento di vittoria, tuttavia, può essere un’occasione per coltivare saggezza, se affrontato con il giusto spirito.

La vita alterna successi e delusioni: è così che funziona. Riflettere su questa verità può essere un invito a dimostrarsi più comprensivi verso chi, tra familiari, amici o conoscenti, si trova a vivere la delusione per la sconfitta del proprio candidato. Queste persone stanno provando ora ciò che, inevitabilmente, prima o poi capiterà anche a chi oggi festeggia. Si può considerare quasi come un viaggio nel tempo, un modo per portare un po’ di gentilezza a se stessi nel futuro, così da affrontare le delusioni che verranno.

(Traduzione di Valerio Camilli)

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