La Bill & Melinda Gates foundation ha annunciato che dal 2017 tutte le ricerche finanziate dalla fondazione saranno pubblicate su riviste scientifiche open access, quelle accessibili a tutti gratuitamente. “[Così] potremo accelerare lo sviluppo di soluzioni per affrontare malattie infettive, diminuire la mortalità infantile e materna e ridurre la malnutrizione nelle aree più povere del pianeta”, ha dichiarato Trevor Mundel, il presidente della divisione medica della fondazione. È una notizia importante per la comunità scientifica internazionale, perché la fondazione di Bill e Melinda Gates è uno dei principali sostenitori della ricerca in campo sanitario con 900 milioni di dollari investiti ogni anno in tutto il mondo. Gli scienziati finanziati dalla fondazione producono circa 1.400 articoli scientifici ogni anno.
Ma la notizia colpisce soprattutto perché Bill Gates è un simbolo internazionale degli aspetti più odiosi della proprietà intellettuale. La possibilità di condividere informazioni, enormemente accresciuta dalla diffusione di internet, è stata a lungo frenata da leggi nazionali e accordi internazionali di cui Bill Gates e la sua Microsoft erano tra i principali sostenitori – insieme alle aziende farmaceutiche e alle major dell’audiovisivo.
Anche su impulso di questi grandi gruppi, nel 1994 furono firmati gli accordi Trips dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) e il congresso statunitense approvò il Digital millennium copyright act nel 1996. Servivano a difendere il diritto di autori e inventori, ma ebbero anche pesanti effetti collaterali. A causa delle norme sui brevetti, per esempio, i prezzi di molti farmaci salvavita raggiunsero prezzi inaccessibili ai pazienti dei paesi in via di sviluppo, in cui epidemie come quella di aids toccano una percentuale significativa della popolazione. Solo nel 2003, dopo anni di mobilitazioni e battaglie legali, l’Omc ha parzialmente modificato gli accordi Trips, per facilitare l’accesso ai farmaci anche nei paesi poveri.
Ma la cattiva fama di Bill Gates è legata soprattutto alle campagne contro la pirateria online, un fenomeno dilagante ormai entrato nell’uso comune, che ha duramente colpito le industrie dell’intrattenimento e del software. Le campagne per criminalizzare i “pirati” si sono rivelate inefficaci e sostanzialmente inapplicabili, se non in pochi casi esemplari. La popolarità della lobby del copyrightè definitivamente precipitata dopo la vicenda tragica di Aaron Swartz, informatico e attivista che nel 2013 si tolse la vita mentre rischiava trentacinque anni di carcere per il download illegale di un gran numero di articoli accademici attraverso i computer del Massachusetts institute of technology.
In base alle stesse leggi sul copyright, infatti, una manciata di editori traggono notevoli profitti da abbonamenti sempre più costosi alle riviste scientifiche. Gran parte delle ricerche pubblicate sono realizzate grazie a finanziamenti pubblici e secondo un’opinione sempre più diffusa tutti dovrebbero potervi accedere gratuitamente. La campagne per il libero accesso, dunque, guadagnano un consenso crescente. Ora anche Bill Gates ha deciso di aderire, e il suo sarà un contributo utile e importante. Ma come testimonial forse in giro c’è di meglio.
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