Il 21 gennaio l’esercito israeliano ha lanciato un’offensiva contro il campo profughi di Jenin, nel nord della Cisgiordania occupata. Sono stati uccisi dodici palestinesi e almeno quaranta sono stati feriti. L’operazione si è svolta con attacchi aerei e un’incursione di forze speciali e cecchini, a cui è seguita l’avanzata di forze corazzate da nord, est e ovest, accompagnata da elicotteri da combattimento e dai bulldozer che hanno distrutto le strade e altre infrastrutture.

I primi momenti “sono stati i più difficili”, racconta un abitante di Jenin che ha chiesto di restare anonimo. “Siamo stati presi alla sprovvista. L’esercito di occupazione ha isolato il campo e poi ha aperto una sola via d’uscita che possiamo attraversare dalle 9 alle 17 in gruppi di massimo cinque persone, sempre perquisite. Molte sono state arrestate”.

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L’operazione israeliana è cominciata un mese dopo quella condotta a Jenin dall’Autorità nazionale palestinese (Anp) con l’obiettivo di sradicare i gruppi della resistenza locale. L’Anp e la Brigata Jenin avevano raggiunto un accordo a metà gennaio grazie alla mediazione di figure politiche e della società civile palestinese, ma gli scontri tra le due parti sono ripresi il 19 gennaio e sono durati fino a quando Israele ha attaccato il campo.

“Non siamo stupiti dall’attacco israeliano, perché ce ne sono stati altri in passato”, spiega l’abitante. “Siamo sconvolti e arrabbiati perché è la prima volta che un’operazione palestinese coincide con un attacco israeliano”. Un portavoce delle forze di sicurezza palestinesi ha chiarito che si sono ritirate da Jenin quando è cominciata l’offensiva israeliana “per evitare scontri”. Le forze israeliane hanno demolito la strada che porta all’ospedale pubblico di Jenin. Il testimone racconta che ora bisogna fare un tragitto molto più lungo per raggiungerlo. “Non era mai successo prima”, commenta il direttore dell’ospedale Wesam Baker. “I soldati hanno anche perquisito l’esterno del pronto soccorso. Il personale ha fatto turni di giorni per accogliere i feriti”.

Impossibile muoversi

Il ministro della difesa israeliano Israel Katz ha affermato che l’attacco a Jenin “cambierà il concetto di sicurezza in Cis­giordania”, aggiungendo che “Jenin è solo l’inizio”, e che ci saranno “operazioni in altre parti della Cisgiordania”. L’esercito israeliano ha dichiarato che l’attacco a Jenin serve a “smantellare le infrastrutture terroristiche”, con riferimento alla Brigata Jenin, il gruppo della resistenza locale che dalla fine del 2021 fronteggia le incursioni israeliane in città.

Poco dopo il raggiungimento del cessate il fuoco a Gaza, Katz aveva annunciato preparativi militari per “vaste operazioni” in Cisgiordania, allo scopo di “cambiare la situazione della sicurezza” nel territorio. Negli stessi giorni i vertici dell’esercito israeliano si sono dimessi, compresi il capo di stato maggiore e il comandante del fronte meridionale, con la motivazione di non essere riusciti a evitare l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. Il ministro delle finanze Bezalel Smotrich ha chiarito che i militari saranno sostituiti per poter “riprendere la guerra a Gaza”.

Inoltre le forze israeliane hanno imposto rigide misure in tutta la Cisgiordania. Dal 18 gennaio hanno installato almeno diciassette valichi metallici all’entrata di città e villaggi in tutto il territorio, isolando tra loro le comunità palestinesi e ostacolando la libertà di movimento. Il 19 gennaio molti palestinesi partiti da Ramallah nel pomeriggio hanno raccontato di essere arrivati a Nablus (a un’ora di auto) alle due del mattino. A Hebron Iman Jadarat, 45 anni, è morta per un attacco cardiaco a un posto di blocco israeliano, mentre cercava di raggiungere l’ospedale.

I politici israeliani di estrema destra, sostenuti dal movimento dei coloni, chiedevano l’imposizione di checkpoint e la restrizione della libertà di movimento per i palestinesi già prima del 7 ottobre. Itamar Ben Gvir, ex ministro della sicurezza e colono di estrema destra, si è dimesso per protesta contro la tregua a Gaza. Il suo alleato Smotrich minaccia di fare altrettanto se Israele non riprenderà la guerra dopo la fine della prima fase dell’accordo di sei settimane. Le sue dimissioni farebbero crollare la coalizione di governo guidata da Benjamin Netanyahu.

Molti analisti considerano l’aumento degli attacchi israeliani in Cisgiordania come una mossa di Netanyahu per accontentare Smotrich in cambio dell’accettazione del cessate il fuoco. Da anni Smotrich spinge per l’annessione della Cis­giordania, invocando l’espulsione di massa dei palestinesi. A novembre ha dichiarato che il 2025 sarebbe stato l’anno in cui realizzarla. L’attacco d’Israele a Jenin è cominciato il giorno dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca e le restrizioni al movimento dei palestinesi in Cisgiordania sono state messe in atto pochi giorni dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco a Gaza. Tutti i segnali indicano che i coloni israeliani e i loro leader potrebbero approfittare del bisogno di Netanyahu di tenere unita la sua coalizione, oltre che del prevedibile sostegno della nuova amministrazione statunitense, per far avanzare il loro progetto di annessione in Cisgiordania. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1599 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati