Negli album di famiglia si ricuce il passato: si colmano i vuoti di memoria, si riprendono i discorsi interrotti, si combattono le amnesie e le rimozioni. Asmarina è un documentario che recupera la memoria, ricucendo insieme le storie della comunità eritrea ed etiope, che vive e lavora intorno a porta Venezia, a Milano.
I registi Alan Maglio e Medhin Paolos hanno preso in mano parecchi album impolverati, hanno incontrato molte generazioni e hanno provato a rimettere insieme i pezzi del passato coloniale italiano nel Corno d’Africa insieme a quello della diaspora eritrea ed etiope in Italia.
“Se c’è una cosa che accomuna Italia, Eritrea ed Etiopia è il desiderio di non parlare del passato”, racconta Asli Haddad, una ragazza nata in Italia da genitori eritrei, che oggi gestisce un ostello a Milano. “Il colonialismo italiano è stato uno dei più aggressivi con l’utilizzo di armi chimiche pesanti, eppure non è mai stata aperta una discussione sul passato. Ma quando non si discute di cose delicate, prima o poi scoppiano”, continua Haddad.
Giravo in treno in Italia e quando dicevo che ero nata ad Asmara nessuno sapeva dove si trovava
“L’Italia spesso non si ricorda di avere un legame storico con Libia, Somalia, Etiopia ed Eritrea”, ha detto la scrittrice italosomala Igiaba Scego su Internazionale, parlando del documentario. Asmarina combatte questa sindrome, ma lo fa con delicatezza, rispettando i tempi e il disordine narrativo di chi parla di sé e dei suoi ricordi. “Queste storie ci sono venute incontro, ci sono state offerte, solo in parte le abbiamo cercate”, racconta la regista Medhin Paolos.
“Io e Alan siamo entrambi fotografi e tutti e due avevamo avuto a che fare con gli archivi fotografici della comunità eritrea ed etiope”, continua. Tantissimo materiale che ancora nessuno si era preso la briga di mettere in ordine. “Ma molte storie le abbiamo scoperte per caso, ascoltando”, racconta. Per caso hanno incontrato la scrittrice Erminia Dell’Oro, figlia di coloni italiani in Eritrea, nata ad Asmara e venuta in Italia quando aveva vent’anni.
“Giravo in treno alla scoperta del paese e quando dicevo che ero nata ad Asmara nessuno sapeva dove si trovava”, racconta Dell’Oro nel documentario, mentre spiega con orgoglio la complessità della sua identità. Anche Michele Lettenze è nato ad Asmara ed è stato rimpatriato in Italia nel 1963. “Non avevo mai visto l’Italia”, racconta.
Michele, come migliaia di altri bambini nati negli stessi anni, era figlio di una donna eritrea e di un italiano, ma suo padre non lo aveva riconosciuto all’anagrafe perché in Italia aveva un’altra famiglia, era sposato con una donna pugliese. “Non ho mai conosciuto mio padre”, racconta Michele mostrando una foto di un collegio religioso nel quale è cresciuto. “Eravamo quasi tutti meticci”, dice.
Oggi Michele è uno dei pilastri della memoria storica della comunità di porta Venezia ed è lui a suggerire ai due registi il titolo del documentario: Asmarina, una canzone cantata negli anni cinquanta da un italiano, Pippo Maugeri, e diventata molto famosa tra gli eritrei che la cantano anche in tigrino. “La canzone la ricordano quasi tutti gli eritrei, ma in ognuno suscita sensazioni e ricordi diversi: è curioso osservare le reazioni del tutto diverse che muove nelle persone”, spiega Paolos.
“È una canzone romantica per una donna di Asmara cantata da un italiano, ma in Eritrea un famoso cantante, Wedi Shawl, l’ha cantata in tigrino cambiando completamente il senso della canzone, per lui è dedicata ad Asmara, alla sua città non ancora liberata”.
La canzone Asmarina cantata da Wedi Shawl negli anni ottanta.
“Una colonia è sempre un possedimento, un dolore”, dice Elena, una delle protagoniste del documentario, mentre sfoglia insieme ai suoi figli e ai suoi genitori, tra qualche lacrima, Stranieri a Milano, un libro fotografico di Lalla Golderer e Vito Scifo che negli anni ottanta hanno raccontato la vita della comunità eritrea ed etiope di Milano.
Matrimoni, feste religiose, comizi politici: nelle pagine del libro sono ripercorse le tappe più importanti della storia della comunità habeshia italiana. “Era la comunità straniera più organizzata di Milano”, racconta Lalla Golderer nel documentario. “Una cosa che mi aveva colpito è che avevano organizzato dei corsi di italiano per le nonne eritree”, dice. Alan Maglio e Medhin Paolos hanno in qualche modo continuato il lavoro cominciato da Golderer e Scifo.
“Questo è soprattutto un documentario su Milano, su una parte di Milano”, afferma decisa Paolos. La città che ha accolto ed è diventata la casa negli ultimi quarant’anni di intere famiglie di italiani di origine etiope ed eritrea. “In molti, anche dopo che il film è stato chiuso, hanno continuato a contattarmi per portarmi a far vedere le loro fotografie, i loro filmati d’epoca. C’è il desiderio di raccontare anche questa parte della storia”, continua.
La prima ondata di eritrei ed etiopi in Italia è arrivata negli anni settanta, dopo il colpo di stato del 1974 che ha portato al potere Mengistu Haile Mariam in Etiopia e ha segnato l’intensificarsi del conflitto per l’indipendenza tra il Fronte di liberazione del popolo eritreo (Flpe) e l’esercito etiope. A Bologna ogni anno ad agosto la comunità eritrea organizzava per un mese dei grandi raduni per sostenere la guerra d’indipendenza.
“Venivano a Bologna gli eritrei della diaspora dalla Svezia, dalla Germania, stavamo a Bologna per un mese. Sono nati amori, figli. Era un modo per sentirci a casa”. Poi è arrivato il referendum che ha sancito l’indipendenza dell’Eritrea dall’Etiopia nel 1993. “Mi ricordo ragazzi nati in Italia che non avevano mai messo piede in Eritrea, mi ricordo che avevano una commozione pazzesca”, racconta uno dei protagonisti del documentario.
Perché Asmara è bella, bellissima, è una città stupenda
Dal 1991 al 1997 in molti tornano in Eritrea nella speranza di ricominciare. Ma il regime di Afewerki non tarda a mostrare il suo volto autoritario: lentamente elimina ogni garanzia democratica usando l’idea propagandistica di una guerra perenne con l’Etiopia, mette in carcere gli oppositori, istituisce la leva obbligatoria a tempo indeterminato, costringe la popolazione ai lavori forzati.
Migliaia di persone scappano dal paese ogni anno per sottrarsi al controllo del regime e alla povertà. Nel 2015 gli eritrei sono stati il terzo gruppo di migranti e profughi arrivati in Europa. Molti di quelli che scappano sono giovanissimi, provano a sottrarsi alla leva obbligatoria, ma rischiano di finire in carcere nel loro paese dove chi emigra è punito come un traditore. Molti dei figli delle famiglie eritree ed etiopi di porta Venezia a Milano sono diventati volontari e mediatori per i profughi arrivati negli ultimi anni nelle città italiane dall’Eritrea.
“Perché questo italiano cantava Asmarina?”, chiede Michele Lettenze all’inizio del documentario. “Perché Asmara è bella, bellissima, è una città stupenda”. E tutto il documentario è segnato da questa nostalgia per una città perduta, in cui molti non possono più tornare, perché oppositori di uno dei più autoritari regimi dell’Africa.
“Si è acceso qualcosa dentro di me quando ho scoperto che alcuni dei campi di concentramento aperti negli ultimi anni da Isaias Afewerki per reprimere gli oppositori sorgono negli stessi luoghi dove erano disposti i vecchi campi di concentramento del colonialismo italiano”, scrive Alessandro Leogrande nel suo ultimo libro La frontiera. Partendo dal colonialismo, passando per la lotta per l’indipendenza e per l’esperienza migratoria di migliaia di persone, si arriva a raccontare del regime eritreo e della frammentazione della società che ha prodotto, come spesso accade nei totalitarismi.
Anche la diaspora degli eritrei in Italia è divisa tra sostenitori e oppositori del regime. “I conflitti e le divisioni sono molto più profonde che nel passato”, racconta la regista Medhin Paolos. “Il grande tabù della comunità eritrea in questo momento è la politica: di tutto il resto si vuole parlare. Dell’emigrazione, del colonialismo. Ma manifestare le proprie posizioni politiche può essere pericoloso, con gli informatori del regime che sono dappertutto”, racconta Paolos. “Avremmo potuto finire il documentario con la conquista dell’indipendenza da parte dell’Eritrea. Ma non sarebbe stato corretto. C’è tutta un’altra parte della storia da raccontare”. Una storia complessa e taciuta che Asmarina prova a recuperare.
Asmarina – Voci e volti di un’eredità postcoloniale sarà proiettato al teatro Palladium di Roma l’11 marzo alle 20.30. L’ingresso è gratuito. Saranno presenti gli autori.
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