Una persona è convinta di avere la tubercolosi e un esperto la rassicura: quei sintomi che avverte, che percepisce nel suo corpo, non significano che ha la tubercolosi. Ci sono tante cose che può fare l’esperto – in questo caso il dottore – tranne una: sentire quello che sente il suo paziente ipocondriaco.
Anche se non ha la tubercolosi dovrà ammettere ugualmente che si tratta di un individuo malato. Ha una malattia importante: l’ipocondria. Gli esperti: come vorremmo averne uno vicino quando ci sembra che ci sia qualcosa di sbagliato! Chi è l’esperto? È una nuova figura partorita senza travaglio dalla scienza, senza travaglio e forse senza accorgersene.
L’esperto non è più uno che ha provato su di sé qualcosa, ma è diventato un tizio a cui hanno spiegato come rispondere a certe domande. Gente che ti spiega quello che stai pensando, quello che vuoi e che desideri. Gestite dagli “esperti della comunicazione”, la scienza, la filosofia e la religione ci stanno accompagnando verso l’energia pulita e inesauribile, la sconfitta definitiva del cancro, pezzi di ricambio per tutto.
Un ottimismo luminoso e illuminante, di fronte al quale chiunque rischia di sembrare un vecchio brontolone. Progetti favolosi, talmente favolosi da sembrare sogni e così, perché la fiducia non venga perduta, eccoli tutti quanti schierati insieme sul terz’ultimo verbo di questa frase: sembrare. La compattezza dell’asse scientifico-religioso è granitica quando si tratta di sembrare, apparire… sperare, insomma. Tutte cose che si basano su un fondamento psicologico comune: il percepire. Se le percepisci male allora le cose ti sembrano diverse da quelle che sono, ma se le percepisci bene è tutta un’altra cosa.
Prima che l’ombra scura del nulla coprisse tutto quanto, capitava di parlare del tempo – un interessantissimo argomento, peraltro, pieno di sfumature e segreti – e ciò significava che era stata servita la “frutta della conversazione”, perché d’estate fa caldo e d’inverno fa freddo e questo succede tutti gli anni, un po’ di più o un po’ di meno rispetto ai precedenti. Si parlava del tempo per dirsi: “Non ho un cazzo da dirti ma siamo qua”.
Veramente è difficile aggiungere altro parlando del tempo: mari, venti, temperatura, umidità, pressione, calore, correnti. Eppure bisogna parlarne ancora. La Terra è troppo monotona, tutti gli anni si susseguono le stagioni nello stesso ordine. Mai una volta che venisse l’inverno e poi l’autunno seguito dalla primavera, anzi no… visto che non ci sono più le mezze stagioni, direttamente l’estate che inizia il 23 novembre.
Visto che la Terra non ha questa fantasia e visto che siamo nell’epoca del sembrare e del percepire ecco due temperature alla volta: quella misurata dal termometro e quella percepita. E sì perché se “fa umido” come dicevano le nostre nonne “c’è l’afa e si suda di più”. Una visione troppo semplicistica, le cose stanno in un’altra maniera. La temperatura percepita dalle persone può essere calcolata: adesso è scienza!
Ma perché l’asse scientifico-religioso è così compatto quando si parla di percezione e di speranza? Forse perché non costa nulla? Parlando di costi probabilmente abbiamo trovato il collante tra la scienza e la religione: i soldi. In effetti se tu continui a sperare mentre io non combino nulla per risolvere i tuoi problemi stiamo tutti un po’ meglio e spendiamo poco.
Ed ecco che la questione del percepire diventa interessante anche a livello sociale. Proprio mentre stiamo comprando le arance della salute, ci accorgiamo che Veronesi, Sirchia, Vendola e Storace sembrano uguali se si parla di cancro (uno dei più grossi e terrificanti misteri della nostra storia recente) ma se la questione è il ticket no, o almeno così sembra.
Come sarebbe bello scoprire che i mali della società sono solo percepiti e non reali, che la povertà non esiste, esiste soltanto la “povertà relativa”. La povertà relativa è una scoperta di Veltroni, come sempre i geni sono dove meno te li aspetti. Alla domanda “quanti sono i poveri in Italia?”, il compagno Veltroni rispose “non si può parlare di povertà ma solo di povertà relativa”.
I poveri di spirito, attaccati a cose materiali come il budget mensile e i figli a cui prospettare un futuro degno di essere vissuto, lì per lì non se ne sono accorti! Ma avevano assistito a una vera e propria rivoluzione culturale! Se fino a quel giorno si erano ritenuti dei poveracci adesso, grazie alla sottile capacità di analizzare i fenomeni sociali di Veltroni, è cambiato qualcosa: non sono in difficoltà, ma in difficoltà relativa. Insomma, si erano sempre “percepiti poveri”.
Sul Messaggero, in quarta pagina, qualche indomito iper-realista afferma che quest’anno due milioni di italiani non andranno in vacanza per via della crisi. Ma se l’altro giorno Emilio Fede mostrava le code ai caselli nel weekend affermando: “Nonostante certi disfattisti… ecco l’Italia vera”. Tutti in coda verso e da località balneari, a spendere soldi. Altro che crisi. Il presidente del consiglio afferma che “l’Italia è un paese ricco e felice” e, nelle polemiche precedenti il referendum, Fini passa dalla parte di Rutelli, però Rutelli era appena passato dalla parte di Fini; c’è forse una qualche contraddizione? No, nessuna, perché nel mondo della percezione le contraddizioni sono implicite, fanno parte del gioco, si chiamano illusioni. Solo che sei tu che stai avendo l’illusione e non loro a essere degli illusionisti, insomma ci prendono in giro.
Ed è a questo livello che si lavora più assiduamente: “Va tutto bene”, e dopo due minuti ti offrono trentamila euro anche se sei protestato, cattivo pagatore e con pignoramenti in corso. Ho chiesto a uno di quattordici anni che cosa vuol dire e lui: “Che la gente non ha una lira”. Dopo altri cinque minuti c’è l’ex (sappiamo bene che non esiste nulla di più pericoloso per le proprie finanze di una ex) D’Alema (l’ex tutto), che commenta l’America’s cup. È come far commentare il video del battesimo di vostro figlio da Pasquale Barra detto o’ animale. Ma lo fa apposta? Queste sono domande importanti.
Probabilmente, come diceva una vicina di casa mentre stava distruggendo una pianta di rosmarino bruciando un divano in finta pelle: “Credevo di far bene”. Nessun tribunale ti potrà mai condannare perché sei un coglione (incosciente) ma solo per le conseguenze della tua incoscienza, e soltanto se queste costituiscono reato. Ora, per quanto ci sembri incredibile vedere l’ex capo comunista occuparsi della cosa in assoluto più chic che ci possa essere, ciò che davvero è incredibile è la totale assenza di risposte da parte della gente. È un po’ come se D’Alema lupo di mare fosse la forchetta che ci hanno infilato nelle chiappe per vedere se siamo cotti a puntino. Ma chi ha in mano questa benedetta forchetta?
Molti credono che il potere sia fatto di controllo, monitoraggio delle telefonate, dell’email, degli sms, di telecamere e satelliti. È del tutto evidente che non è sufficiente, almeno fino a che Bin Laden non ordinerà una pizza per telefono e sempre ammesso che dalle sue parti ci sia un pizza express e, soprattutto, che lui stia davvero da qualche parte. È proprio questo “lui” l’elemento fondamentale della nostra discussione, purtroppo terribilmente seria.
Solo un “lui” può essere percepito nel reale come nell’immaginario. Per questa ragione gli ipocondriaci passano la giornata a studiarsi l’enciclopedia medica e noi siamo con il giornale in mano e davanti alla tv. È troppo difficile pensare che la causa dell’11 settembre sia un “non lui”, che sia semplicemente “un modo di andare del mondo” interpretato da alcuni giovani convinti di avere settanta vergini che li aspettano in cielo. Se l’oggetto dell’interesse del potere fosse un “lui” reale sarebbero sufficienti le telecamere e i satelliti. E se a Bin Laden non piace la pizza? E se “lui” non ci fosse oppure non contasse nulla? Il potere. Anche il potere è un lui? Esiste? È percepito, percepibile oppure c’è? Decide davvero le cose? È di sinistra avercela con il potere? È di destra detenere il potere?
Se pensiamo a questo raffinato uso del rapporto tra reale e percepito che è sotto ai nostri occhi, e crediamo che sia il potere a esercitarlo, forse pure noi siamo caduti dentro al gran frullato. Se invece pensiamo agli ultimi rantoli del sistema capitalistico occidentale, travolto dal neocapitalismo comunista proveniente da est e lo immaginiamo aggrappato alla sua ultima lancia, la pubblicità, forse siamo più vicini al vero.
Tempo, terrorismo, potere, amici e nemici, amore, salute… possiamo accettare che tutto questo finisca nel calderone ambiguo del percepito rispetto al reale, che venga travolto da più cinici capitani d’industria? Forse sì ma una cosa deve restare come è sempre stata: l’arte. Quella non tocchiamola, è rimasta davvero la nostra unica speranza! La tecnologia ci ha dato l’illusione che il tempo scorra più velocemente, l’arte rimette sempre a posto le cose: sempre due film l’anno al massimo sono opere d’arte e lo stesso per i quadri e la musica.
Come se per il bello ci fosse un massimo oltre il quale impazziremmo, una specie di “quantità critica massima di bellezza”. Peccato non sia così per il brutto vuoto fatuo.
Internazionale, numero 599, 15 luglio 2005
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