Economia e legalità sono due facce della stessa medaglia. Senza legalità l’economia diventa spaghetti economy. In cosa consiste questa deviazione dai princìpi di Adam Smith? C’è un caso da manuale che potrebbe essere insegnato in ogni facoltà di economia: l’Italia.
Immaginate un blocco di spaghetti freddo, di qualche giorno: un blocco biancastro, dall’aspetto ripugnante. Provate a tirare uno spaghetto a caso: resterà attorcigliato con ostinazione a tutti gli altri spaghetti. Non saprete mai dove finisce, quant’è lungo. Se tirate lo spaghetto Parmalat, dove termina? E quelli della Cirio, della Banca Popolare di Lodi, di Banca 121, dei tango bond? Ci si deve rassegnare a una visione d’insieme, esterna, della palla di spaghetti.
Fa schifo e basta. Non si può indagare oltre. I conflitti d’interesse sono così intrecciati che un banchiere può essere anche editore, per esempio del Corriere della Sera; un industriale, presente in due consigli d’amministrazione, può comprare e vendere da se stesso; un sindaco può essere anche amministratore; un pregiudicato può fare il presidente o il manager.
Economia, politica ed editoria sono una sola cosa. Una triade che controlla il sistema, un’organizzazione di stampo omertoso molto più potente del sistema camorristico denunciato da Roberto Saviano in
Gomorra. La fusione delle due banche Unicredit e Capitalia dimostra in che modo il sistema protegge se stesso.
In questi anni Capitalia è stata in parte risanata, riorganizzata e restituita al suo core business dopo una gestione affaristica che veniva decisa nei corridoi di Montecitorio. Prima era una banca che offriva sostegno ai politici in modo bipartisan.
La trasformazione è merito di Matteo Arpe, amministratore delegato, che ha poco più di quarant’anni. Arpe è uno dei pochi banchieri stimati nel mondo finanziario internazionale. Si oppone a una serie di manovre del presidente di Capitalia, Cesare Geronzi, che ha più di settant’anni. Il presidente Geronzi ha cercato di farlo fuori, Arpe ha resistito con il supporto degli investitori esteri.
Ma chi è Cesare Geronzi? Il suo curriculum vitae farebbe invidia ad Al Capone. Per Geronzi la procura di Parma aveva richiesto l’interdizione dall’incarico di presidente di Capitalia. Un dirigente dell’istituto, Andrea Del Moretto, aveva scoperto già nel 2002 come stavano le cose alla Parmalat: l’azienda aveva messo in circolazione obbligazioni per circa sette miliardi di euro, mentre in bilancio ne aveva dichiarato un miliardo e duecento milioni.
Geronzi non ritirò le linee di credito concesse da Capitalia alla Parmalat e per più di un anno furono venduti bond con il buco dentro. Inoltre Geronzi è stato condannato in primo grado dal tribunale di Brescia a un anno e otto mesi di reclusione per bancarotta preferenziale nell’ambito del crac Italcase. Il consiglio d’amministrazione ha ovviamente confermato Geronzi nei suoi incarichi.
La fusione con Unicredit fa nascere la più grande banca italiana. Alessandro Profumo e Geronzi sono sulle pagine dei giornali in trionfo. Arpe è stato costretto alle dimissioni. Forse andrà all’estero. L’ennesima fuga di cervelli. D’Alema e Berlusconi sono felici, insieme a un nutrito gruppo di politici.
Molto felici. Forse troppo felici. Geronzi è vicepresidente di Unicredit Group, una banca da cento miliardi di euro che ha quote azionarie ovunque. Dai mezzi d’informazione, con Rcs, alle banche d’affari, con Mediobanca. Profumo – si dice – si occuperà della banca e quindi del business, e Geronzi delle partecipazioni e quindi della politica. Il miglior banchiere italiano a fianco del pregiudicato Geronzi è la foto di un fallimento. L’economia è anche reputazione e noi l’abbiamo persa da un pezzo.
Questo testo è tratto dallo spettacolo Reset.
Internazionale, numero 695, 1 giugno 2007
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