Un chiarimento dopo l’altro. Ad appena trentasei ore dalla firma dell’accordo provvisorio sull’Iran, i nuovi contatti tra russi, americani ed europei hanno permesso alle Nazioni Unite di annunciare, nella giornata di lunedì, che la conferenza di pace sulla Siria “Ginevra 2” si aprirà il prossimo 22 gennaio.
Non è ancora il momento di lasciarsi andare all’ottimismo sfrenato, perché tutto può accadere e il dialogo potrebbe interrompersi in qualsiasi momento. Il primo punto da risolvere riguarda il disaccordo fondamentale tra i ribelli e il regime siriano: l’insurrezione insiste sull’uscita di scena di Bashar al Assad, mentre il governo non intende nemmeno prendere in considerazione l’idea.
Un’altra questione particolarmente spinosa riguarda l’Iran. I russi chiedono con insistenza la partecipazione di Teheran alla conferenza, mentre gli occidentali non sono ancora convinti. Se l’Iran prenderà parte all’incontro, proteggendo gli interessi del regime, bisognerà aprire le porte di Ginevra 2 anche all’Arabia Saudita, alleato dei ribelli. In questo caso la conferenza di pace si trasformerebbe in una cassa di risonanza dell’accesa rivalità tra i due paesi (uno sciita, l’altro sunnita) e del conflitto tra i due rami dell’islam che infiamma il Medio Oriente.
La presenza di Arabia Saudita e Iran non faciliterebbe certo il dialogo, ma probabilmente è meglio guardare in faccia la realtà e ammettere che la Siria è terreno di scontro anche tra il mondo sunnita e quello sciita, e dunque sarebbe impossibile trovare un accordo duraturo senza la partecipazione dei due principali paesi che vi sono coinvolti.
Ancora niente è deciso, ma il fatto che l’Onu abbia annunciato una data dimostra che è in atto un’evoluzione del processo con il consolidamento dei punti di convergenza tra le parti.
L’elemento positivo più rilevante è che le grandi potenze, Russia compresa, sembrano voler rispettare il piano delineato nel giugno del 2012, sempre a Ginevra, quando avevano discusso della crisi siriana (senza i diretti interessati). L’obiettivo fissato durante la prima conferenza di pace è la creazione consensuale di un governo di transizione dotato di “pieni poteri esecutivi anche sugli organi militari e di sicurezza”.
Considerato che questi poteri sono attualmente nelle mani di Bashar al Assad, è implicito che durante la transizione il capo del regime dovrebbe passare la mano, ma l’intesa raggiunta nel 2012 non lo specifica. I russi non hanno ancora accettato questa condizione, mentre gli occidentali la pretendono. In ogni caso la rinuncia al potere da parte di Assad non costituirà una premessa di Ginevra 2, ma al massimo un obiettivo che ne condizionerà la riuscita. Al momento sembra che russi e occidentali siano disposti a scendere a compromessi, mentre i ribelli e il regime sembrano pronti a partire nonostante questa ambiguità di fondo. Resta da capire se l’Iran farà lo stesso, accettando quantomeno la possibilità di un ritiro di Assad e guadagnandosi l’invito alla conferenza. Grazie all’accordo di domenica, una soluzione non è più impossibile. Non ci resta che aspettare.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it