Per me questo è l’ultimo appuntamento prima delle vacanze, quello dei bilanci e delle prospettive. Gli ultimi mesi sono stati dominati da due grandi crisi ancora in corso, quella greca e quella iraniana.

La crisi greca ci dice sostanzialmente che anche in un paese piuttosto conservatore gli elettori sono pronti a eleggere una formazione senza esperienza pur di allontanarsi dalle politiche di austerità. Il voto dei greci potrebbe presto ripetersi in Spagna a favore di Podemos, e il rifiuto delle restrizioni di bilancio e della disoccupazione legate all’austerità spiega anche l’ascesa di movimenti di estrema destra in tutta Europa.

Per quanto legittima, la volontà di ridurre l’indebitamento e il deficit pubblico non solo compromette la crescita, ma permette l’affermazione di nuovi partiti che insidiano quel bipartitismo tra destra e sinistra e tra socialdemocrazia e democrazia cristiana che ha plasmato fino a oggi lo scacchiere politico europeo. Più che la crisi greca in sé, è questo cambiamento politico ad aver spinto l’Europa in un terreno sconosciuto. Se la Grecia e i suoi partner non troveranno un compromesso, a farne le spese sarà non solo l’eurozona, ma tutta l’Unione.

Quale che sia il risultato del referendum greco di domenica, sì o no alle proposte europee, serve un compromesso per evitare che l’aumento dei tassi d’interesse sui prestiti per i paesi europei più fragili inneschi nuove difficoltà economiche, metta a dura prova la solidarietà degli europei e rilanci drammaticamente lo scontro tra rigore e crescita, proprio nel momento in cui sembravamo aver scelto una via di mezzo promossa dalla nuova Commissione e dalla Banca centrale europea.

A essere minacciata è ormai la sopravvivenza dell’Unione, e l’estate sarà decisiva per stabilire se andremo verso un peggioramento o una soluzione della crisi greca.

Per quanto riguarda l’Iran niente è ancora sicuro, ma possiamo ragionevolmente scommettere su un compromesso nei prossimi giorni, perché l’Iran ha assolutamente bisogno della cancellazione delle sanzioni economiche e perché gli Stati Uniti devono appoggiarsi su Teheran per affrontare le crisi mediorientali senza inviare i loro uomini nella regione.

Questa doppia necessità politica dovrebbe facilitare un accordo che possa sospendere la marcia dell’Iran verso la bomba. Un trionfo dei moderati a Teheran aprirebbe la strada a una liberalizzazione del regime iraniano, a un riapparificamento con l’Arabia Saudita, a una riduzione delle tensioni tra le due grandi correnti dell’islam (sunnita e sciita) e alla nascita di un fronte comune contro i jihadisti.

Nel bene o nel male, il mondo potrebbe cambiare molto in estate. Appuntamento al rientro dalle vacanze.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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