Forse è la volta buona. Forse, finalmente, le armi saranno messe da parte in Siria. Ci sono buoni motivi per sperare, perché la proposta di un cessate il fuoco che entrerebbe in vigore nella notte tra il 26 e il 27 febbraio è stata avanzata attraverso un comunicato congiunto da Stati Uniti e Russia, che da qualche giorno hanno cominciato a lavorare insieme.
Gli americani hanno la possibilità di fare pressione sui ribelli e sui loro alleati principali, la Turchia e l’Arabia Saudita, mentre i russi possono esercitare un’influenza ancora maggiore sul regime siriano, che senza l’aiuto di Mosca sarebbe sicuramente crollato in autunno. La Russia e l’America possono insomma dare corpo alle loro proposte, e in più hanno tutto l’interesse a farlo.
La lunga esitazione di Mosca
Washington spera nel cessate il fuoco perché non vuole più impegnarsi in Medio Oriente e perché la sospensione delle ostilità è la condizione sine qua non per la ripresa del dialogo tra il regime e i ribelli. La Russia, dal canto suo, ha rimesso in sella Bashar al Assad e deve scegliere tra incoraggiare l’intransigenza del dittatore rischiando di lasciarsi trascinare in un conflitto regionale o imporre a Damasco di fare un passo indietro conquistando uno status di potenza pacificante simile a quello degli Stati Uniti.
Il Cremlino ha esitato a lungo tra queste due opzioni (o quantomeno ha evitato di mostrare le sue carte), ma il 18 febbraio ha finalmente preso posizione. Dopo che Bashar al Assad ha dichiarato di voler riconquistare la totalità del territorio siriano, infatti, Mosca ha fatto presente al capo del regime che le sue dichiarazioni “non concordano con gli sforzi diplomatici della Russia”.
Russi e statunitensi hanno ribadito che continueranno ad attaccare i terroristi, ma la loro definizione di ‘terroristi’ non coincide
“La Russia ha investito molto in questa crisi e vorrebbe che Assad ne tenesse conto”, ha dichiarato il rappresentante di Mosca alle Nazioni Unite prima che Vladimir Putin aggiungesse personalmente di avere come obiettivo “una soluzione politica” e che Assad facesse capire di aver ricevuto il messaggio dichiarando di voler “essere ricordato tra dieci anni come il salvatore della Siria” senza specificare se intende farlo come presidente o meno. La formula è complessa, ma il concetto è chiaro: Assad si è piegato al volere di Mosca.
Il negoziato, in ogni caso, potrebbe fallire da un momento all’altro. Anche se tutte la parti accettassero l’accordo – eventualità probabile perché né il regime né i ribelli sono nella posizione di rifiutarlo – niente ci garantisce che l’intesa resisterà a lungo. Tra l’altro russi e statunitensi hanno ribadito che continueranno ad attaccare i terroristi, ma la loro definizione di “terroristi” non coincide.
Anche se il cessate il fuoco dovesse sfociare in una ripresa del dialogo, sarà comunque fragile perché né il regime né i jihadisti hanno interesse a rispettarlo. Se pure le cose si mettessero per il meglio resterebbe il problema di definire i termini di un compromesso politico. Basta l’annuncio di Assad di voler organizzare (da solo) le prossime legislative ad aprile per rendersi conto della complessità della situazione.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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