L’opposizione israeliana non ha misurato le parole. “È una legge abietta”, ha dichiarato Isaac Herzog, presidente del Partito laburista, rammaricandosi di non poter portare i parlamentari israeliani davanti alla giustizia internazionale.

Il procuratore generale ha fatto presente che la legge adottata il 6 febbraio dal parlamento israeliano non è conforme alla costituzione e viola il diritto internazionale, dunque non ha intenzione di difenderla davanti alla corte suprema che sarà presto interpellata. Nell’attesa, Israele è oggetto di un coro di proteste internazionali.

Il segretario generale dell’Onu, le capitali arabe ed europee, la Turchia che si era da poco riavvicinata allo stato ebraico, i palestinesi, la Lega araba: tutti hanno condannato un testo che legalizza retroattivamente gli insediamenti illegali creati nei territori occupati su terreni dei palestinesi. Questa unanimità della condanna nasce dal fatto che, a prescindere dalle indennità pecuniarie, la legge avalla lo sfruttamento sfrontato delle terre altrui. Ma non è questo l’aspetto più grave.

Un atto senza precedenti
L’elemento che determina la fermezza della reazione internazionale è che il parlamento israeliano, con 60 voti contro 52, si è arrogato il diritto di legiferare nei territori occupati, un atto senza precedenti perché si tratta di terre che non appartengono a Israele. Questo colpo di mano della maggioranza di destra ed estrema destra costituisce un enorme passo avanti verso l’annessione di tutti o di parte dei territori occupati o “contestati”, per usare le parole degli israeliani.

Tutto lascia pensare che questo voto non avrà seguito, perché la corte suprema dovrebbe annullarlo dopo avere ordinato di recente lo sgombero di un insediamento illegale. Ufficialmente questo è il motivo per cui gli Stati Uniti non si sono ancora espressi, ma la vicenda va esaminata alla luce di un doppio contesto che la rende tutto fuorché insignificante.

Nell’attuale maggioranza del parlamento israeliano crescono i nazionalisti e gli estremisti religiosi

Benjamin Netanyahu, primo ministro e capofila del Likud, il grande partito della destra israeliana, è indebolito dagli scandali di abuso di potere che fanno il gioco dell’estrema destra e minacciano la sua leadership all’interno della coalizione di governo. Nell’attuale maggioranza crescono i nazionalisti e gli estremisti religiosi, ovvero quelli che considerano la Palestina del mandato britannico come terra israeliana perché corrisponderebbe allo stato ebraico descritto dalla Bibbia. Benjamin Netanyahu, che ha accettato il principio della coesistenza dei due stati, è giudicato come un debole dal suo schieramento, una figura di cui liberarsi.

Il secondo motivo d’inquietudine risponde al nome di Donald Trump. Come tutta l’estrema destra statunitense, il nuovo presidente sostiene la destra israeliana considerandola come un’alleata contro i jihadisti. Per questo Trump ha fatto marcia indietro sulla condanna degli insediamenti da parte degli Stati Uniti. Anche per questo i nazionalisti e gli estremisti religiosi israeliani si sentono rafforzati, come dimostra il voto del 6 febbraio.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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