Ci sono album così fragili e preziosi che quasi vorresti restassero nascosti, un segreto ben custodito tra te e i tuoi amici. Io per esempio ho il culto di Just a little lovin’, un album-tributo alla cantante pop britannica Dusty Springfield (1939-1999) di Shelby Lynne, una cantante country di Jackson, Alabama.
A unire due artiste così diverse e lontane nello spazio e nel tempo c’è la passione per la musica del sud degli Stati Uniti. Quando Dusty Springfield incide nel 1968 il suo classico Dusty in Memphis (se non lo conoscete smettete di leggere qui e volate a sentirlo) è già una pop star famosa, ma nel profondo sud scopre un modo diverso di far parlare le canzoni. Soprattutto scopre come farle parlare di sé, dopo una vita passata a nascondersi. Springfield non solo era lesbica ma soffriva di una forma acutissima di sindrome dell’impostore: pur essendo la miglior cantante inglese della sua generazione si sentiva insicura, schiacciata da un perfezionismo che le toglieva l’aria e la vita. Per lei andare in scena, truccarsi, indossare quelle impossibili ciglia finte e quelle parrucche ad alveare era una forma di travestimento: una corazza dietro cui nascondere la propria sessualità e le proprie paure. Se vi capita leggete la sua biografia, che non a caso s’intitola Dancing with demons, danzando con i demoni.
Shelby Lynne nel sud degli Stati Uniti ci è nata e per lei quel modo di cantare e di vivere le canzoni è una questione di tradizione, quasi di genetica. Eppure ci è voluta un’interprete inglese per farle capire che certe canzoni erano un modo per mettersi a nudo, per raccontare un malessere e per immergersi nelle proprie nevrosi. Shelby Lynne è sempre stata una fan di Dusty in Memphis, un album che per lei è una specie di testo sacro. E in Just a little lovin’ prende i classici resi famosi da Dusty e li spoglia di qualunque vezzo anni sessanta: li scarnifica e li maneggia con la delicatezza e la destrezza di un artigiano del vetro di Murano. Nessuna orchestra, solo chitarra, un piano, un contrabbasso e una batteria e nessuna nostalgia. Anyone who had a heart, You don’t have to say you love me, The look of love e tanti altri pezzi del repertorio di Dusty Springfield sembrano qui canzoni nuove di zecca, scritte dalla stessa Lynne. Tanto che l’unico inedito, Pretend, si mimetizza perfettamente all’interno dell’album. Perfino la scoppiettante I only want to be with you viene spogliata di tutto, rallentata e trasformata in una malinconica bossanova.
L’unico pezzo di cui si sente la mancanza è proprio quello che più parla di vecchio sud, Son of a preacher man. “Quella non oso cantarla”, ha commentato Shelby Lynne, “quella canzone appartiene solo a Dusty”.
Shelby Lynne
Just a little lovin’
Lost Highway/Mercury, 2008
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