Alla fine del 1986 gli Eurythmics erano al massimo del loro successo commerciale ma erano anche molto demotivati. Annie Lennox e Dave Stewart avevano cominciato la loro avventura musicale nel 1980, quando erano ancora una coppia. All’arrivo del grande successo – il loro secondo album Sweet dreams (are made of this) era stato autofinanziato con un prestito bancario che era per loro l’ultima spiaggia – la loro storia d’amore era finita ma cominciava quella professionale e artistica.

Dave Stewart e Annie Lennox erano una coppia artistica formidabile. Nel suo rocambolesco memoir intitolato senza troppa fantasia Sweet dreams are made of this, Dave Stewart conserva il ricordo di una Annie Lennox giovanissima che cantava accompagnandosi a un vecchio armonium in una stanzetta di Camden Town: in quel momento del 1974 si era innamorato di lei e pensava che sarebbero rimasti insieme per sempre. Non sapeva ancora che quella relazione sentimentale sarebbe durata poco ma si sarebbe trasformata in un sodalizio tra i più prolifici della storia del pop.

Il rapporto tra Dave e Annie mi ha sempre affascinato: più che un uomo e una donna mi sono sempre sembrati una coppia di gemelli dal genere fluido e intercambiabile. Quando nei primi video indossavano giacca, cravatta e gilet uguali (ispirati dagli artisti britannici Gilbert and George) erano una presenza magnetica e destabilizzante. Ancora oggi, scrive Stewart nel suo libro, Annie Lennox è la sua migliore amica.

Relazioni complicate
Nel 1986 però anche la loro unione artistica sembrava agli sgoccioli. A metà anni ottanta, dopo tre album synth pop di straordinario successo gli Eurythmics, sempre più sicuri delle loro capacità autoriali, si sono avventurati nel pop rock più mainstream e con singoli come Would I lie to you?, There must be an angel (playing with my heart) – con un assolo di armonica di Stevie Wonder –, Sisters (are doin’ it for themselves) – un duetto con Aretha Franklin – hanno avuto un successo americano, e poi globale, con pochi precedenti. Il loro album del 1986, Revenge, ha consolidato quel successo e li ha impegnati in un tour mondiale che era più un classico concerto rock che una performance synth pop. Gli Eurythmics da bizzarri gemelli del pop elettronico si sono trasformati in rock star internazionali, sempre in viaggio e vestiti di pelle nera dalla testa ai piedi. Il tour interminabile, il vicolo cieco musicale in cui si erano infilati – che senso aveva continuare a sfornare hit pop rock per il mercato degli Stati Uniti? – e le rispettive vite sentimentali sempre più complicate da gestire avevano sfibrato gli Eurythmics, che decisero di prendersi una pausa.

Dave Stewart, nel frattempo, si era sposato con Siobhan Fahey (una delle tre fondatrici delle Bananarama) che in quel momento era incinta del loro primo figlio ed era impegnata nella promozione del loro album di maggior successo, WOW!. Siobhan era arrivata a girare il video dell’ultimo singolo tratto dall’album quasi alla fine della gravidanza (sempre ripresa in primo piano). Le dinamiche massacranti del successo pop che Dave Stewart pensava di aver chiuso fuori della sua vita gli rientravano dalla finestra attraverso la moglie. Nel frattempo Annie Lennox era a Parigi impantanata in una relazione sentimentale che, a quanto scrive l’amico Dave Stewart, “già in partenza non avrebbe dovuto neanche prendere in considerazione”.

Quello che sarebbe diventato Savage, il sesto album del duo, stava nascendo come un lavoro a distanza

Stewart, insieme al batterista e produttore svedese Olle Romo, decise di affittare una grande villa in Francia, Château de Dangu, in Normandia, per cominciare a lavorare su un nuovo album degli Eurythmics. Tra i frequentatori abituali del castello, che era stato una residenza suburbana di madame de Pompadour smontata e ricostruita pietra per pietra in epoca napoleonica nel luogo dove si trova oggi, c’erano Siobhan Fahey, moglie di Stewart, Pam Wilkinson, sua ex moglie, con il compagno (che suggerì di affittare la magione per adibirla a studio), il già citato Olle Romo e una pletora di amici famosi che venivano di tanto in tanto a salutare: uno tra tutti era Mick Jagger, che seguiva con attenzione l’evoluzione della musica degli Eurythmics e che solo anni dopo avrebbe collaborato con Dave Stewart su alcuni pezzi, tra cui uno di notevole successo. Jagger firma anche la prefazione del libro di Dave Stewart.

Chi si vedeva poco a Château de Dangu era Annie Lennox, che di tutto aveva voglia meno che di mettersi a lavorare su un nuovo album degli Eurythmics. Si affacciava ogni tanto e diceva che i pezzi su cui Dave e Olle stavano lavorando non le piacevano affatto. Di fatto quello che sarebbe diventato Savage, il sesto album del duo, stava nascendo come un lavoro a distanza.

Era la prima volta che gli Eurythmics lavoravano così: di solito le loro canzoni nascevano in modo simbiotico, da sedute di scrittura e produzione lunghissime che li vedevano vivere e scrivere insieme ventiquattr’ore su ventiquattro. Lennox era troppo presa dalla sua vita privata e Stewart era in un momento di intensa sperimentazione grazie a un synclavier (uno strumento elettronico che condensava in una sola macchina sintetizzatore, campionatore e sequencer) che gli era stato venduto dal produttore Jack Nitzsche, marito della grande cantautrice Buffy Sainte-Marie. Lui non sapeva farlo funzionare ma Olle Romo sì, o almeno ci provava. A Château de Dangu passarono molte settimane a smanettare e a capire cosa il synclavier (montato in quello che era il fumoir, la sala da fumo, della villa) potesse fare. Dave e Olle giocavano con vecchi campionamenti fatti in Giappone durante il tour percuotendo canne di bambù e altri oggetti strani e piano piano montavano le tracce di quelli che sarebbero diventati i 12 pezzi di Savage.

Eurythmics, Beethoven (I love to listen to), diretto da Sophie Muller, 1987

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Le idee erano ancora poche e confuse ma su una cosa Dave Stewart e Annie Lennox erano d’accordo: il nuovo album sarebbe stato elettronico, sperimentale e difficile, l’esatto opposto di Revenge. Con Savage sarebbero tornati alle origini: testi oscuri e ambigui resi urgenti e sanguigni dalla voce di Lennox su arrangiamenti elettronici sghembi e cubisti che del pop radiofonico avevano solo lo scheletro.

Quando le tracce di cui Annie Lennox era così poco convinta sono finalmente pronte le cose accelerano: il gruppo si sposta ai Grand Armée studios di Parigi, dove Lennox si risveglia dal torpore e nel giro di pochissimo scrive di getto i testi e canta tutti i pezzi. Lei stessa ricorda che in quei giorni era un fiume in piena: le parole le uscivano magicamente dalle dita e facevano da collante portentoso al progetto trasformando le idee musicali sparse di Dave Stewart e Olle Romo in canzoni surreali, minacciose, crudeli e piene di amara ironia.

Un suicidio commerciale
Lennox e Stewart erano d’accordo su un altro punto fondamentale: stavolta non avrebbero inseguito il singolo di successo. Da qui la scelta commercialmente suicida di far uscire come canzone di lancio l’assurda Beethoven (I love to listen to). Il pezzo era talmente ostico e poco pop che la Rca americana si rifiutò di farlo uscire come singolo per le radio. Beethoven è praticamente una non canzone: su un’incalzante cassa in quattro Lennox, con voce assente e allucinata, descrive le sue fantasie di amore romantico e di ricatto affettivo: parla a un fantomatico “tu” (che temiamo essere inesistente, un’allucinazione) di una “nuova pelliccia di visone da avvolgere intorno al suo tenero collo” e di come in realtà stia mentendo e sia capricciosa “come una ragazzina texana che pensa di avere diritto a tutto”. Improvvisamente la canzone si apre in una sorta di ritornello nonsense: “Beethoven, amo ascoltare Beethoven, amo ascoltare Beethoven”, forse l’unico tenue gancio radiofonico di un pezzo aspro, tutto spigoli e zero melodia. La voce di Lennox è montata in modo da sembrare tante voci diverse che si parlano una sull’altra: è sempre lei ma si contraddice, si avvita su se stessa per poi esplodere in una spaventosa risata.

Il video girato da Sophie Muller (che in futuro firmerà clip memorabili per Björk, Pj Harvey e Jesus and Mary Chain) cerca un filo narrativo per questa follia: Annie Lennox è una casalinga depressa e disturbata che, facendo la maglia nell’appartamento piccolo borghese che ha appena finito di pulire a fondo, parla da sola. Le voci nella sua testa sono sempre più forti e lei ha delle allucinazioni: una bambina luciferina si diverte a sporcare dove lei ha appena pulito e una drag queen senza parrucca si nasconde tra le tende e dietro al divano, e la spia. A un certo punto qualcosa si spezza dentro di lei e Lennox si trasforma: indossa una parrucca, un abito aderente e scollato e si trucca pesantemente. Diventa a sua volta una sorta di drag queen, un incrocio tra Jane Mansfield e Iggy Pop, e sghignazzando distrugge la sua casa rispettabile ed esce per una strada spettrale e deserta lasciandosi tutto alle spalle, finalmente libera.

La follia come via d’uscita da una situazione psicologicamente insostenibile, da una gabbia di costrizioni e di doveri assurdi, rompere le catene invisibili che ci legano a cose e persone sono i temi di molti altri pezzi dell’album: I’ve got a lover (back in Japan) e Do you want to break up? sono due strani pezzi pop, più sognante il primo e più tagliente l’altro, che parlano proprio di troncare relazioni malsane. In ogni canzone Annie Lennox sembra scissa tra due o più personalità: se c’è un album che ha provato a descrivere gli alti e bassi del disturbo bipolare questo è proprio Savage degli Eurythmics.

Eurythmics, You have placed a chill in my heart, diretto da Sophie Muller, 1987

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Nonostante Dave Stewart e Annie Lennox abbiano fatto di tutto per manomettere la forma canzone e nasconderla all’orecchio dell’ascoltatore, in Savage non mancano le splendide canzoni. Una è You have placed a chill in my heart, forse uno dei pezzi migliori del canzoniere degli Eurythmics. Anche qui Lennox parte sicura di poter fare a meno di un amore: “L’amore è un tempio, l’amore è un sacrario, l’amore è puro, l’amore è cieco… e io sono pronta a lasciarmelo alle spalle”, eppure la canzone si evolve e Lennox sembra prendere consapevolezza. Per un momento torna a parlare (anche nel video) la casalinga disperata: “Vorrei essere invisibile, così da insinuarmi lungo il telefono, quando mi fa male alle orecchie mi fa male al cervello e mi fa sentire troppo, troppo, troppo…” e poi ha un sussulto d’orgoglio: non troncare la conversazione quando ti sto parlando, non riuscirai mai più a sminuirmi. Eppure alla fine cede: “Ho solo bisogno di qualcuno da abbracciare”, ancora una volta alti e bassi, contraddizioni e violenti sbalzi d’umore.

Autoanalisi e disvelamento
Quando Savage uscì fu definito da diversi critici come un album femminista. Sicuramente è un album scritto da un punto di vista femminile ma più che un lavoro propriamente femminista oggi ci sembra un feroce atto di autoanalisi e di disvelamento. Annie Lennox dà voce a pulsioni e fantasie inconfessabili in pezzi come la ballata acustica I need you in cui canta: “Ho bisogno di essere messa all’angolo da te… ho bisogno che tu senta davvero il suono della mia schiena che si spezza, ho bisogno di qualcuno che ascolti l’estasi che sto fingendo… ho bisogno di qualcuno che mi spacchi la testa, qualcuno che mi baci”. Una fantasia masochista? Sicuramente, eppure quando canta queste parole terribili Lennox ha un’aria spavalda e la sua sottomissione così esibita sembra più un atto di controllo sull’altro, un estremo atto di sfida.

I need a man, che nel video di Sophie Muller è interpretata dalla Annie Lennox in drag, era la canzone di Savage preferita da Mick Jagger e in effetti sembra un ruvido rock’n’roll uscito da album come Some girls o Tattoo you dei Rolling Stones. La canzone rivolta tutti gli stereotipi di genere legati all’amore romantico. “Non m’importa se non mi parli”, canta Lennox quasi ringhiando, “non sono quel tipo di ragazza e non m’importa se non mi porti a passeggio, non mi dà chissà quale brivido e non m’importa del tuo aspetto; dovresti saperlo che non mi fa nessun effetto, perché c’è solo una cosa che voglio e non porta la gonna”. Lennox gioca tutto sull’ambiguità. Chi sta cantando? Un uomo vestito da donna? Una donna in drag? Una donna a nervi scoperti che dà voce alle sue fantasie più nascoste di sottomissione e dominazione? E quando alla fine del pezzo quest’uomo a cui si rivolge viene scaricato, lei continua a ripetere ossessivamente “baby baby baby baby” non si sa bene a chi. Forse a se stessa.

Pistole e pellicce
Savage, la canzone che dà il titolo all’album è una ballata piena di gelida malinconia il cui primo verso potrebbe offrirci una chiave di lettura per tutto l’album. “Words of power are killing me”, le parole di potere mi stanno uccidendo. Savage è un album ossessionato dalla potenza delle parole: pieno di doppi sensi, di contraddizioni e di giochi linguistici che, come proiettili che rimbalzano, si ritorcono contro la protagonista delle canzoni. Eppure, dopo questa confessione, già nel secondo verso, Lennox mette uno schermo tra chi canta e la protagonista del pezzo di cui riporta il discorso diretto introducendolo con un “she said” (disse lei). Vediamo una sorta di dominatrix o di pupa del gangster che apre le sue stanze a un uomo mostrandogli le sue pellicce e le sue pistole: “Puoi venire a giocare qui con me se mi trovi nell’umore giusto”, sussurra come in trance. E poi: “Ho questa infelicità da portare intorno al collo, è un bel gioiello per sfoggiare quello che cerco di proteggere”, ma poi, come accade in tutte queste canzoni, a ogni squarcio di fragilità corrisponde una chiusura: “Tutto è finzione, tutto è cinismo fino all’osso, non chiedermi di restare con te, non chiedere di riaccompagnarmi a casa”.

Sembrerebbe che a essere “savage” (ovvero crudele, spietata come un animale selvatico) sia questa protagonista femminile e invece l’aggettivo è rivolto al “tu” che lei sta allontanando da sé: “Savage, you savage”. Ancora una canzone di rottura, di taglio netto di una relazione che non è neanche cominciata. Forse Dave Stewart aveva ragione: Annie Lennox avrebbe fatto bene a tenersi lontana da quella relazione parigina che aveva fatto da catalizzatore alle parole di queste canzoni. Eppure anche la musica creata in parallelo da Dave viene da un luogo altrettanto oscuro. E ancora una volta è come se gli Eurythmics, i due gemelli del synth pop inglese, si parlassero e si comprendessero anche lavorando insieme da lontano. Savage è l’ultimo, grande momento di assoluta empatia tra Dave Stewart e Annie Lennox.

Paragonato ai due album precedenti Savage non fu un successo, ma nonostante fosse chiaro fin dall’inizio che non lo sarebbe stato fu generosamente finanziato dalla Rca: Sophie Muller realizzò un video per ciascuno dei pezzi (anche quelli che non uscirono come singoli) e un video-album commercializzato in videocassetta, rendendo Savage uno dei pochi album degli anni ottanta a uscire in cinque formati (lp, cassetta, cd, laser disc e videocassetta vhs).

Eurythmics
Savage
Rca, 1987

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