Raffaele La Capria, Ultimi viaggi nell’Italia perduta
Bompiani, 188 pagine, 13 euro

Raffaele La Capria nota che se per scrittori come Goethe il grand tour era un’iniziazione alla ricchezza e alla bellezza dell’Italia, gli autori più recenti sono stati colpiti dal degrado e dall’autolesionismo del paese. Dedica capitoli a George Gissing, Norman Douglas, Giuseppe Ungaretti, Curzio Malaparte, Norman Lewis,
John Horne Burns e Cesare Brandi, le cui parole di ammirazione per l’Italia del sud sono piene di tristezza per il suo rapido declino.

È interessante come La Capria metta in contrasto “l’estroso e zingaresco” Giovanni Comisso con molti commentatori del mezzogiorno: “Non ha il mugugno dell’indignazione civile come Bocca; non si sente in obbligo di osservare e capire tutto, come Piovene; non fa il pedagogo come Pasolini con Gemmariello, né teorizza e presagisce come lui catastrofi antropologiche; non sfoggia sarcasmi tetramente moralistici come Ceronetti; non si sente un cisalpino con la puzza sotto il naso come Arbasino; non è giudicante come Vertone”.

La seconda parte è dedicata alle esperienze dell’autore in Campania e in particolare a Capri. Inevitabilmente si tratta di articoli nostalgici, però La Capria ritiene che il suo non sia solo un guardare indietro, ma anche un modo per combattere l’idea che la decadenza del sud sia inevitabile.

Questo articolo è stato pubblicato il 1 giugno 2016 a pagina 82 di Internazionale, nella rubrica Italieni. Compra questo numero | Abbonati

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