L’autunno è ormai la stagione in cui è d’obbligo constatare che, se si va avanti così, la penisola sprofonderà nel Mediterraneo. Pioggia e vento saldano insieme le mutazioni climatiche e una lunga tradizione di malgoverno. Il dissesto del territorio, sotto l’acqua da nord a sud, fa tutt’uno con la fragilità del paese politico, flagellato dalle mafie, dalla corruzione, dall’inefficienza, dai profitti selvaggi, dall’illegalità capillare, dallo stato stesso col suo marciume che gocciola da cento crepe.
A pensarci si prova perfino un po’ di pena per gli sprovvedutissimi cinquestelle, gli unici nuovi in questo vecchio marasma. Erano quelli che dovevano dare una rapida, rigorosa sistematina a questa permanente colata di fango reale e metaforico. Ma non padroneggiano nemmeno un po’ di aritmetica e qualche figura retorica, a ogni passo affondano nella melma. Ripetono all’infinito poche facili formulette, peggio delle schiere renziane coi loro noiosi riassuntini della linea del capo. Hanno preso una pietra miliare del riformismo radicale, il reddito di cittadinanza, e l’hanno ridotto a una paghetta per servi disciplinati. Sono notav al nord e sitap al sud, iperdemocratici in rete e repressori d’ogni insubordinazione fuori rete. Soprattutto hanno fatto in poco tempo facce autunnali e, per la gioia espansiva di Salvini, appena aprono bocca franano. Che peccato.
Questo articolo è uscito il 1 novembre 2018 nel numero 1280 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero| Abbonati
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