Quanto tempo ci vuole per convincersi che il brutto, quando è vincente, è il bello; che il peggio, quando s’impone, è il meglio? Siamo già sulla strada buona. Specialmente in televisione le mezze frasi di stima per Salvini abbondano da tempo: lui, sebbene pessimo, è abilissimo; lui ha un personale politico efficiente; lui, anche se non ci piace, ha un disegno. Ma ora c’è qualcosa in più.
Dopo le elezioni abruzzesi, si è goduto per la frana dei cinquestelle molto più di quanto ci si è allarmati per il trionfo fascioleghista. L’idea è che, mentre i confusionari pentastellati confondono le idee al cittadino, Salvini sa qual è il posto suo e quello del suo elettorato. Quindi spazzare via i cinquestelle è molto più urgente che bloccare l’espansione salviniana. Se loro restituiranno i voti maltolti alla destra, alla sinistra, all’astensionismo, non si tornerà forse al più ordinato duello tra centrodestra e centrosinistra? Può darsi.
Ma se davvero Salvini è l’apprezzato stratega di cui si dice, il mal connesso, rissoso, in gran parte immaginario centrosinistra – più centro che sinistra – si troverà di fronte, dopo una lunga attesa, non il centrodestra vecchio stile ma una destra robusta che sempre più si fa stradestra. E intanto il capo leghista sarà diventato così forte da spacciare ancor più con successo il brutto che rappresenta per il bello, il peggio che prepara per il meglio.
Questo articolo è uscito nel numero 1294 di Internazionale. Compra questo numero|Abbonati
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