L’ultima iniziativa diplomatica lanciata dalla cancelliera tedesca Angela Merkel e dal presidente francese François Hollande per risolvere il conflitto nell’est dell’Ucraina ha molte probabilità di finire come le altre, cioè in un nulla di fatto, ma almeno dalle posizioni dei due leader vengono fuori segnali incoraggianti.

Il 7 febbraio, il giorno dopo il loro incontro con il presidente russo Vladimir Putin, i due capi di stato sono intervenuti a una conferenza internazionale sulla sicurezza a Monaco, in Germania. Hollande ha dichiarato che una soluzione federale che conceda un ampio grado di autonomia alle regioni russofone occupate dai separatisti è inevitabile, “perché questi popoli si stanno affrontando in una guerra ed è difficile che possano tornare a vivere insieme”. Merkel ha ribadito la sua opposizione all’idea di fornire armi all’esercito ucraino, sostenuta dagli Stati Uniti, perché “non riesce a immaginare una situazione in cui questi aiuti impressionino Putin al punto di convincerlo di poter essere sconfitto a livello militare”.

La franchezza dell’intervento di Merkel è stata particolarmente significativa. La cancelliera ha ricordato la sua infanzia nella Repubblica Democratica Tedesca, quando i governi occidentali avevano dovuto rinunciare a intervenire per aiutare i cittadini del blocco comunista, perché non c’era alcuna realistica possibilità di successo. “Quel genere di realismo è proprio ciò di cui abbiamo bisogno ora”, ha dichiarato.

Può sembrare cinico, ma ha ragione. L’“opzione militare” evocata dal generale statunitense Philip Breedlove, che si limiterebbe alla fornitura di armi e munizioni e non prevede in nessun caso un intervetto diretto, non ha nessuna possibilità di influenzare il conflitto in modo determinante, se non nel senso di un’ulteriore escalation. A pochi chilometri dal confine ucraino la Russia ha migliaia di carri armati, pezzi di artiglieria e altri armamenti pesanti pronti a essere mobilitati nel giro di poche ore, mentre per addestrare i soldati ucraini all’uso dei nuovi sistemi d’arma servirebbero settimane.

È possibile che Europa e Stati Uniti stiano giocando al poliziotto buono e a quello cattivo, ma è più probabile che Merkel e Hollande si rendano conto che una soluzione di compromesso è inevitabile per risolvere la crisi ucraina prima che le conseguenze per l’economia e la stabilità europea diventino insostenibili. Ma per questo servirà un’enorme dose di realismo anche in un altro campo.

Negli ultimi giorni la Banca centrale ucraina ha dovuto smettere di intervenire per sostenere la moneta nazionale, perché le sue riserve di valuta sono scese a poco più di 6 miliardi di dollari, che bastano a pagare appena cinque settimane di importazioni. Il risultato è che la hryvnja ha perso più del 50 per cento del suo valore nel giro di quarantott’ore. La situazione finanziaria dell’Ucraina è se possibile ancora più disperata di quella militare: per evitare il collasso, Kiev ha urgente bisogno di un nuovo salvataggio da 20 miliardi di euro, quattro volte il valore di quello già accordato dal Fondo monetario internazionale. L’intervento dell’Fmi, previsto per il 30 gennaio, non è ancora stato annunciato.

In ogni caso, nel lungo periodo servirà ben altro che l’estensione dei termini di pagamento per disinnescare la bomba del debito ucraino. A meno di un’improbabile integrazione immediata dell’economia ucraina nel sistema europeo, per fermare la recessione ci vorrà una ripresa del commercio con la Russia (che paradossalmente è ancora il primo partner commerciale di Kiev nonostante i due paesi siano in guerra aperta), e quindi un cessate il fuoco duraturo e la fine delle sanzioni contro Mosca. Ma soprattutto sarà inevitabile una ristrutturazione del debito e un significativo haircut, con pesanti perdite per i creditori che per ora nessuno sembra disposto ad accettare.

È una dinamica simile a quella in atto con la Grecia, e non è un caso che la gestione dei due casi sia stata affidata alla consulenza dello stesso istituto, la banca d’affari Lazard. Nei confronti di Atene, Merkel non ha finora dato prova di quel realismo che lei stessa ha evocato a Monaco, ma la prospettiva di un collasso dell’Ucraina, che potrebbe creare un buco nero da 45 milioni di persone nel cuore d’Europa, potrebbe rivelarsi un incentivo ben più potente dei timori per le conseguenze di un’uscita della Grecia dall’euro.

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