La notizia l’aveva data Charles Lister su Foreign Policy all’inizio di maggio in un articolo che aveva suscitato una certa attenzione tra gli analisti mediorientali. Ora il New York Times sembra confermarla: la leadership di Al Qaeda avrebbe deciso di creare un emirato in Siria attraverso la sua filiale locale, il Fronte al nusra. Il capo dell’organizzazione, Ayman al Zawahiri, avrebbe diffuso un messaggio per autorizzare l’operazione e alcune figure di spicco come l’ex colonnello egiziano Saif al Adl avrebbero già raggiunto la Siria per metterla in pratica.
La svolta segnerebbe l’abbandono della strategia di lungo periodo seguita dal Fronte al nusra fin dalla sua fondazione nel 2012: stringere alleanze con gli altri gruppi ribelli, islamici e non, e mantenere buoni rapporti con la popolazione locale per conquistarsi una base di sostegno più ampia possibile. In questo modo l’organizzazione si è creata in Siria e all’estero un’immagine migliore e meno estremista rispetto al gruppo Stato islamico, che con la proclamazione del califfato si è arrogato il potere assoluto nei territori che controlla e ha soppresso ogni forma di opposizione.
In teoria l’emirato è un passo più limitato, perché a differenza del califfato non pretende di essere l’unico governo legittimo di tutti i musulmani, ma significherebbe comunque la rottura con tutti i gruppi che non dovessero aderire. In passato l’idea sarebbe già stata proposta e scartata, e in seno ad Al nusra ci sarebbe ancora una fazione che si oppone. Ma a quanto pare la leadership di Al Qaeda, messa sotto pressione in Pakistan dai bombardamenti statunitensi, avrebbe deciso che serve una base territoriale da cui lanciare attacchi terroristici per battere la concorrenza dello Stato islamico nel reclutamento di militanti.
Un emirato jihadista distruggerebbe l’idea che esiste ancora un’opposizione moderata
Se fosse davvero messa in atto, la nuova strategia potrebbe avere ripercussioni decisive sul conflitto siriano. Il Fronte al nusra è da anni la forza combattente più numerosa e meglio organizzata tra i ribelli che lottano contro il governo di Bashar al Assad, soprattutto nella provincia di Idlib che è l’area più vasta in mano all’opposizione. Molti gruppi ribelli, soprattutto le poche formazioni laiche rimaste, sono stati costretti ad accettare un’alleanza operativa con i jihadisti di Al Nusra perché senza di loro non avrebbero nessuna possibilità di opporsi alle forze di Assad. Quando la pressione militare su Idlib è stata allentata grazie al cessate il fuoco, i gruppi locali e la popolazione hanno ripreso le distanze dal Fronte al nusra, composto soprattutto da combattenti stranieri, e sono addirittura scesi in piazza a manifestare contro di esso.
Anche per questo all’inizio di maggio Al Nusra e altri gruppi jihadisti hanno lanciato l’offensiva di Khan Tuman, a sud di Aleppo, che ha contribuito a far collassare la tregua. L’organizzazione sa che per costringere gli altri gruppi ad accettare la sua supremazia ha bisogno di un aumento delle ostilità. Dal punto di vista di Al Qaeda la dichiarazione dell’emirato potrebbe essere una scommessa rischiosa per scongiurare un cessate il fuoco più duraturo e rafforzare il suo controllo sul Fronte, all’interno del quale molti preferirebbero rompere con l’organizzazione madre e trasformarsi in un gruppo autonomo – cosa che gli permetterebbe di ottenere il sostegno diretto della Turchia e dei paesi del Golfo che gli sarebbe stato offerto lo scorso anno.
Questa strategia farebbe anche il gioco dei falchi del governo siriano: lo scontro interno indebolirebbe i ribelli, rendendo ipotizzabile una riconquista militare di Idlib, e la fondazione di un emirato jihadista distruggerebbe definitivamente l’idea che esista ancora un’opposizione moderata con cui trattare. Anche per questo sarà cruciale la ripresa delle trattative a Vienna per un rinnovo del cessate il fuoco. Se gli Stati Uniti e la Russia vogliono davvero evitare che la soluzione militare diventi l’unica disponibile, è questo il momento di farlo capire chiaramente ai rispettivi interlocutori.
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