Trovo tranquillizzante quello che è successo l’11 febbraio a Roma. Che una delle personalità più potenti del mondo possa congedarsi senza emozione visibile con una breve dichiarazione in latino, cogliendo di sorpresa tutta la stampa mondiale, è un fatto singolare e simpatico.

Il fatto che in una società in cui fingere efficienza è un’abitudine diffusa, qualcuno riconosca di non avere più le forze necessarie per guidare un’istituzione affidatagli è un avvenimento raro e di forte valore simbolico. Un gesto innovativo e nobile che cancella molte perplessità dell’opinione pubblica sul pontificato di Benedetto XVI.

Immaginarsi un papa in pensione finora era un assoluto tabù. Il brevissimo discorso del papa ci ha fatto tornare in mente la famosissima scena del film

Habemus papam di Nanni Moretti.

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Ma non c’erano espressioni esterrefatte, nessuna ombra di panico o disperazione nelle facce dei cardinali. Si sapeva che Joseph Ratzinger non avrebbe mai voluto fare il papa e sognava ritirarsi per dedicarsi ai suoi libri. Si è piegato alla volontà del conclave per spirito di servizio. E ha chiuso il suo pontificato con uno dei gesti più forti e inattesi nella lunga storia della chiesa.

Perché riconoscere la propria debolezza e stanchezza è un fatto proibito e anticonvenzionale nella società del carrierismo, in cui fingersi forti, efficienti e invincibili è una moda dilagante. Ed è ovvio che questo sofferto gesto di umiltà ci riporta direttamente all’attuale fiera della vanità che si svolge al di fuori dalle mura vaticane, a quella campagna elettorale disgustosa, rumorosa e velenosa, al mondo delle mille bugie e delle promesse facili. A quell’Italia in cui ci si aggrappa alle poltrone per decenni, dove non conta la sostanza ma l’apparenza, in cui dilaga l’incapacità di realizzare anche riforme modeste, dove l’arroganza del potere è onnipresente.

Ed è ovvio che il passo inatteso del papa ci richiama quell’altro anziano uomo di potere che non si sognerebbe mai di dimettersi. Quel Silvio Berlusconi che è la personificazione del culto della propria personalità e di un assurdo giovanilismo. Pensiamo alla sua faccia rifatta e corretta con un robusto make up, a quei sorrisi artificiosi e alle sue dichiarazioni vuote. Al Cavaliere che ama definirsi uomo di chiesa ma che è lontanissimo da fede e moralità.

Sono due Italie inconciliabili: quella dei cittadini spaesati riuniti ieri in piazza San Pietro e quella della claque che tra sghignazzi e sorrisi si è spellata le mani per la scenetta maschilista di Berlusconi alla Green Power di Mirano. È l’abisso tra i mondi da sempre lontani dell’essere e dell’avere.

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