Lo spettacolo del parlamento italiano è indecoroso. Due partiti si preparano ad affossare con un assalto alla diligenza la legge

di stabilità appena presentata da loro stessi. Si dividono anche sulla lotta al crimine e fanno piombare nel caos la commissione

antimafia: con un colpo di mano il Partito democratico fa eleggere, con 25 voti su 50, Rosy Bindi come presidente. È come ripetere la candidatura di Romano Prodi al Quirinale.

Nel circo della partitocrazia non contano curriculum o facce, ma solo i simboli del partito. In 93 proposte di legge firmate dalla Bindi dal 1994, la mafia è completamente assente. Renato Brunetta, perennemente con la bava alla bocca, annuncia “guerriglia” se la Bindi non si dimette. Minaccia una raffica di veti e bocciature: “Per noi il decreto sulla pubblica amministrazione può anche decadere”. Decreto contro il quale il Movimento 5 stelle sta già praticando l’ostruzionismo.

La riforma della costituzione è passata per pochi voti con l’aiuto della Lega, perché una ventina di falchi del Pdl hanno boicottato il voto. È rissa quotidiana, una disgustosa fiera dei rancori e colpi bassi. In barba al regolamento vigente il Pd insiste sul voto palese sulla decadenza di Berlusconi. Non certo per trasparenza, ma solo per paura dei potenziali franchi tiratori tra le proprie file. E per regalare al Pdl un altro argomento sulla persecuzione del Cavaliere.

Offese anche all’interno del Pd, in cui Civati attacca Fassina come “personaggio del teatro elisabettiano”. Tra i cattolici del partito scoppiato di Mario Monti volano stracci e insulti. È resa dei conti, caccia ai presunti traditori. Pier Ferdinando Casini, che per mesi ha osannato Monti come unico salvatore, ora lo attacca e cerca la rissa. Isterismo anche nel Pdl, dove colombe e falchi si detestano, ma in una gara di servilismo imbarazzante si fingono uniti intorno al monarca perseguitato dai magistrati. Il motivo è ovvio: Berlusconi è l’unico che porta voti. Senza il Cavaliere gran parte dei suoi camerieri perderebbero la comoda poltrona. Non solo: senza le fideiussioni di Berlusconi il Pdl/Forza Italia, che ha un debito complessivo di 88,2 milioni di euro, dovrebbe portare i libri in tribunale.

Ma ora la finta armonia si dilegua per far posto ai rancori. La senatrice Anna Cinzia Bonfrisco definisce Gaetano Quagliarello un “apprendista stregone che produce stantie formulette paleo-politiche”. Daniela Santanchè dà del traditore a Napolitano. Tutti sono così concentrati sulle loro risse che non sembrano neanche accorgersi del debito pubblico salito a 2.076 miliardi, del rapporto debito-pil approdato al record del 133,3 per cento e che, di fatto, il paese è fuori dal G8. Che un capogruppo come Renato Brunetta minacci “guerriglia su tutti i provvedimenti” è scandaloso.

“Non smettiamo di indignarci”, afferma Angelino Alfano. Ma quelli che si dovrebbero indignare sono i cittadini costretti a subire questo spettacolo. È una partitocrazia indecente quella che si vede ogni giorno nell’arena del parlamento. Ma nella foga della rissa quotidiana non trova neanche il tempo di guardarsi allo specchio.

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