Quali sono le principali preoccupazioni degli europei alla vigilia del voto con il quale dovranno scegliere i loro rappresentanti al parlamento europeo? Il sondaggio condotto nei 27 paesi dell’Unione europea dalla Bva Xsight per il consorzio giornalistico guidato dalla rete televisiva franco-tedesca Arte – di cui fa parte anche Internazionale – consente di avere un’idea abbastanza chiara di quelle che condividono e di quelle che li distinguono.
Il primo dato che colpisce è che gli europei, con buona pace di chi li vede divisi su tutto, sembrano unanimi, indipendentemente dalle fasce d’età, nell’identificare ciò che li preoccupa maggiormente: la salute (per il 41 per cento degli intervistati) e la guerra (per il 38 per cento). E lo sono lungo linee di frattura geografiche che ripercorrono a grandi linee quelle storiche. Mentre la salute appare infatti come prioritaria soprattutto nei paesi del sud dell’Europa, quelli più duramente colpiti dalla pandemia di covid-19 e dai sistemi sanitari più fragili (Grecia in testa), nei paesi dell’Europa centro-settentrionale, i più impegnati nel sostenere militarmente l’Ucraina, si teme anzitutto l’aggressività di Vladimir Putin e le sue possibili conseguenze.
Una linea di frattura anche più marcata divide i paesi i cui cittadini piazzano le questioni di interesse nazionale al primo posto quando votano rispetto alle questioni di interesse europeo (e si tratta di quelli entrati nell’Unione dopo il 2004, più Irlanda e Grecia).
“I sondaggi che conduciamo con l’Istituto universitario europeo vanno nella stessa direzione”, dice Veronica Anghel, ricercatrice ospite del centro Robert Schuman per gli studi avanzati dell’Istituto universitario europeo di Fiesole. “Le tendenze emerse da questa ricerca”, aggiunge, “indicano che nel prossimo parlamento europeo ci saranno più eurodeputati filorussi o comunque non a favore dell’Ucraina rispetto a quello uscente, mettendo alla prova la capacità della prossima Commissione europea di mantenere lo stesso livello di solidarietà con Kiev”.
Inoltre, aggiunge la ricercatrice, “l’affermarsi dell’estrema destra nei governi nazionali sarà un ostacolo in più per le ambizioni geopolitiche dell’Europa e metterà in dubbio il suo impegno a intervenire militarmente al di fuori dei propri confini”.
La lentezza con cui la Nato e i partner europei hanno fornito aiuti all’Ucraina “è all’origine di una forma di frustrazione dell’opinione pubblica europea, che si è tradotta in un calo del sostegno a Kiev – in particolare in Italia, Germania e Romania – su alcuni aspetti chiave, come la fornitura di aiuti umanitari, l’accesso al mercato del lavoro, la corsia preferenziale verso l’adesione all’Unione europea, la ripartizione dell’aumento del costo dell’energia o la fornitura di assistenza militare”.
La Francia si distingue invece da entrambi i blocchi, poiché la principale preoccupazione dei francesi è la perdita del potere di acquisto. Questa preoccupazione è la terza al livello europeo (espressa dal 24 per cento degli intervistati), e non è un caso, perché sia la pandemia, con il rallentamento dell’economia, sia la guerra in Ucraina, con le conseguenze sul costo dell’energia, hanno contribuito fortemente al peggioramento della situazione socioeconomica.
Anche la preoccupazione per l’ambiente, alla pari con quella per il potere d’acquisto a livello europeo, segue una linea di frattura geografica, con i paesi di una fascia che va dalla Svezia a Malta più sensibili all’argomento rispetto a quelli dell’Europa occidentale e orientale. L’unico paese in cui l’ambiente è la seconda preoccupazione di chi ci vive (35 per cento degli intervistati), un timore più alto rispetto ad altri paesi, in cui il tema è al terzo o quarto posto, è Malta. L’isola è infatti teatro negli ultimi anni di una forte speculazione immobiliare e di una cementificazione galoppante, dove gli abitanti ritengono di aver “profondamente cambiato” stile di vita per limitare il loro impatto ambientale.
“Il fatto che la Francia si distingua dagli altri paesi sull’importanza del potere d’acquisto non stupisce”, osserva Eric Maurice, analista dello European policy centre di Bruxelles, “perché i francesi si sentono più esposti e hanno attese elevate nei confronti dell’intervento dello stato”.
In realtà, prosegue Maurice, “i due temi – ambiente e potere d’acquisto – sono collegati. Quando nel 2019 è stato concepito il green deal, che prevede il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050, i governi e gli industriali hanno sottostimato l’impatto in tempo reale dei costi e dello sviluppo delle infrastrutture necessarie per la transizione ecologica e il suo costo sociale”.
Quest’ultimo si traduce nell’aumento dei prezzi di alcune materie prime e di alcuni beni considerati indispensabili, come le auto. “Si pensi per esempio al fatto che cambiare il parco auto passando da veicoli relativamente a buon mercato a veicoli elettrici nuovi – un mercato dell’usato vero e proprio ancora non esiste in questo settore – molto più costosi mette i cittadini meno abbienti in una situazione difficile. Ma di questo i responsabili politici, sia nazionali sia europei, non hanno avuto il coraggio di parlare apertamente”, spiega Maurice.
Ci sono altri dati che fanno riflettere sulle apparenti contraddizioni tra l’atteggiamento dei governi e quello che emerge dalle risposte dei cittadini, come ad esempio il fatto che l’immigrazione è un problema solo per l’8 per cento degli ungheresi, malgrado le politiche fortemente repressive del governo nazional-populista di Viktor Orbán e la sua sistematica opposizione a qualsiasi gestione condivisa dei flussi migratori a livello europeo. Il tema è invece un problema per i tedeschi, che hanno accolto un numero record di rifugiati durante la crisi del 2015-16.
Da tenere presente anche il fatto che le tasse siano un problema per la metà degli estoni, mentre nel paese vige un’imposta sul reddito (il 20 per cento) tra i più bassi d’Europa. I danesi, che versano allo stato quasi il 60 per cento di quanto guadagnano, non se ne lamentano.
Altra contraddizione apparente, ma che la dice lunga su cosa i cittadini si aspettino dall’Unione europea, e quanto poco sappiano di cosa può e non può fare, è quella sul ruolo dell’Unione e sull’impatto delle sue politiche: malgrado solo un terzo degli intervistati ritenga che le decisioni dell’Ue abbiano effetti positivi (poco più di quelli che pensano il contrario), la stragrande maggioranza vorrebbe politiche comuni in materia di difesa e immigrazione, due competenze marginali tra quelle dell’Unione europea che rappresentano rispettivamente lo 0,66 per cento e il 2,1 per cento del bilancio europeo.
Questa diversità di posizioni “è anche all’origine della difficoltà a mettere in atto politiche europee”, spiega ancora Eric Maurice, “perché ogni stato ha priorità diverse e il senso di ciò che costituisce una minaccia o una fonte di preoccupazione cambia da paese a paese. Entrano in gioco molti fattori, come il clima politico ed economico o le influenze esterne e la loro percezione. Quest’ultimo aspetto è anche soggetto agli attacchi della disinformazione, che può avere un effetto molto divisivo sulle società”.
Appare infine coerente, seppure su un piano diverso, il fatto che i paesi in cui il senso di appartenenza all’Europa è meno forte sono quelli le cui opinioni pubbliche in passato hanno dimostrato maggiore ostilità nei confronti dell’Unione: la Svezia e la Danimarca, che hanno rifiutato di aderire all’euro per referendum rispettivamente nel 2003 e nel 2000; i Paesi Bassi e la Francia, che nel 2005 hanno rifiutato con un referendum la costituzione europea; l’Irlanda, che nel 2008 aveva bocciato per referendum il trattato di Lisbona (approvato l’anno dopo). Ovviamente in coda a questa classifica c’è il piccolo Lussemburgo, forse il paese più europeista di tutti.
I dati contenuti in questo articolo sono stati raccolti online tra il 27 marzo e il 9 aprile 2024 nei 27 stati dell’Unione europea. Il sondaggio è stato condotto dalla Bva Xsight per Arte Geie, in collaborazione con Internazionale, El País, Gazeta Wyborcza, Ir, Kathimerini, Le Soir e Telex.
Il campione totale è di 22.726 cittadini europei ed è composto da 27 campioni rappresentativi della popolazione di ciascun paese dell’Ue di età pari o superiore a 15 anni (16 anni nel caso del Lussemburgo). Qui maggiori informazioni sul sondaggio.
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