(Jeremy’s indie music)

Triangoli, delta, cetirizina. Dietro l’estetica pop delle loro canzoni, gli Alt-J nascondono parole che sembrano uscite da libri di chimica e matematica. Forse perché applicano alla composizione della musica lo stesso rigore di uno scienziato. E le loro espressioni da giovani fieramente nerd stanno lì a dimostrarlo. Il Circolo degli Artisti, teatro della seconda data del loro tour italiano, si è riempito fino al tutto esaurito per ascoltarli. Segno di un interesse crescente attorno a questo quartetto inglese di Leeds, che in patria ha conquistato il prestigioso Mercury Prize con l’album d’esordio An awesome wave. Qualcuno potrebbe accusarli di essere un po’ artificiosi, ma dopo averli visti dal vivo si può dire che questa critica non regge.

Gli Alt-J sanno tenere il palco con autorità: gli arrangiamenti che hanno fatto la fortuna del disco, vengono restituiti in modo brillante. E se possibile con più energia. Sono quasi le undici, un po’ tardi, quando i quattro inglesi salgono sul palco. La band attacca con Intro, brano semistrumentale costruito su un bell’incastro tra chitarre e tastiera. Poi tocca a Interlude I, intreccio di voci a cappella, aprire la strada a uno dei piatti forti della serata: Tessellate, un piccolo saggio di geometria pop, che esalta la voce di Joe Newman. Per chi scrive, uno dei singoli più belli del 2012.

Nella successiva Something good, invece, si fa apprezzare soprattutto il batterista Thom Green, timoniere ritmico del gruppo. Il tastierista Gus Unger-Hamilton, che si alterna con Newman alle voci, appare invece il vero architetto sonoro della band, meno appariscente ma fondamentale. È lui spesso a dare il cambio di marcia nei pezzi, come quando spezza le ottime Dissolve me e Fitzpleasure con il suo synth elettronico.

Con Slow dre e Matilda, che piace molto al pubblico a giudicare dai cori sul ritornello, il ritmo rallenta un po’. E su Ms arriva un piccolo calo di tensione. Poi piano piano il gruppo risale, fino a raggiungere il momento migliore della serata con Breezeblocks, perfetto incastro di ritmi e melodie vocali che omaggia il Maurice Sendak del Paese dei mostri selvaggi. Segue una dose di meritati e rumorosi applausi.

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Ad aprire l’unico bis della serata c’è l’intima Hand-made, un numero per sola voce, chitarra e tastiera. E per chiudere ecco Taro: un’altra stramba filastrocca pop, con tanto di rimandi arabeggianti. Un ponte gettato tra l’uggiosa Leeds e il mediterraneo. Insomma, gli Alt-J sono bravi. Per qualcuno potrebbero suonare troppo ruffiani, e a volte lo sono. Ogni tanto la voce di Joe Newman è ripetitiva, ma è sempre funzionale alle canzoni.

Merito del talento, e anche degli ascolti giusti. Merito di questi quattro ragazzi che probabilmente considerano Kid A dei Radiohead il loro Dark side of the moon. E per questo riescono a fare una musica che, al di là della sua apparente semplicità e spensieratezza, guarda avanti. E riesce anche a farci canticchiare, che non guasta mai.

Scaletta:

*Intro

Interlude I

Tessellate

Something good

Dissolve me

Fitzpleasure

Slow dre

Matilda

Interlude II

Bloodflood

Ms

Breezeblocks*

Bis:

*Hand-made

Taro

*

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