(Dna concerti)
Partiamo dalla fine. Partiamo da quella Vanderlyle cribaby geeks suonata in cerchio, in acustico. Tutti davanti al microfono, come i gruppi folk di una volta. Con gli occhi puntati verso il pubblico. Chi sa la canzone, la canta a squarciagola. Chi non la sa, si gusta il momento.
Uscendo dal concerto dei National all’Auditorium Parco della Musica di Roma si porta con sé una sensazione di intimità. Quasi non viene voglia di raccontarlo, a chi non c’era. Ma di tenerselo dentro.
Merito di un luogo, la cavea dell’Auditorium, che esalta le atmosfere cinematografiche della musica del gruppo. E di un’atmosfera calda, che ha spinto il gruppo a chiamare gli spettatori seduti nel parterre e farli stare in piedi di fronte al palco.
Il gioco a rincorrersi comincia poco dopo le nove, con la batteria martellante di Squalor victoria. Già dalla scelta di questo pezzo, estratto da Boxer, si capisce che stasera la band vuole colpire allo stomaco.
Poi tocca a I should live in salt e Don’t swallow the cap, due tra i brani migliori dell’ultimo disco Trouble will find me. Nel parterre, in prima fila, c’è anche Nanni Moretti. La prima impressione è che dal vivo le canzoni nuove funzionino meglio che nell’album.
I National sono inquieti, perché vorrebbero far alzare in piedi il pubblico, ma gli addetti alla sicurezza lo impediscono. Matt Berninger, frontman atipico dalla voce baritonale e dai modi gentili, ci prova già durante Bloodbuzz Ohio. Va incontro alle prime file e raccoglie qualche abbraccio.
Con il passare dei minuti però è chiaro che questa situazione un po’ ingessata non durerà. E così durante Sea of love lo staff dell’auditorium si arrende, e chi è seduto nel parterre si trova letteralmente con le mani appoggiate sul palco. Da qui in poi è tutto in discesa.
Afraid of everyone è il numero più oscuro della serata. I need my girl, sporcata con i feedback dai chitarristi, i gemelli Dessner, è più feroce e riuscita che in studio. Baby we’ll be fine, estratta dal bellissimo Alligator del 2005, è toccante. Abel è la solita sfuriata rock, un classico degli spettacoli dal vivo dei National.
Fake empire, invocata a gran voce, dovrebbe essere il momento più nazionalpopolare, ma non riesce a trasformarsi nell’inno che poteva essere. Così come, pochi minuti prima, il singolo Demons non era riuscito a trovare la quadra.
Ma sono piccole imperfezioni, niente di grave. Come i passaggi a vuoto della voce di Matt Berninger, visibilmente alticcio dopo essersi scolato una bottiglia di vino bianco. Fa tutto parte del gioco, perché la band compensa le minuzie tecniche con l’energia e il tormento che riesce a restituire con la sua musica.
Durante [Mr. November][1], una canzone diventata un po’ per caso il simbolo della prima vittoria elettorale di Barack Obama, Berninger si arrampica quasi sulle gradinate, facendo impazzire i tecnici del palco. Dopo l’ennesimo bagno di folla, anche gli spettatori più tiepidi sono stati conquistati.
La voce baritonale del cantante, che deve tanto a Ian Curtis e Leonard Cohen, accarezza una Slow show in versione rallentata. E si commuove durante About today, una ballata malinconica che riesce a far calare il silenzio nella cavea.
Il set regolare si conclude tra gli applausi del pubblico. Nei bis arriva l’ottima Humiliation, altro omaggio al genio dei Joy Division. Anche questa prolungata, dilatata rispetto alla versione in studio. Uno dei momenti più intensi del concerto. Poi tocca a Terrible love, che colpisce per il crescendo emotivo, alzare ancora di più il livello.
E poi Vanderlyle crybaby geeks, con le chitarre acustiche e l’abbraccio finale.
I National sono una delle migliori band degli ultimi anni. Hanno fatto almeno un paio di dischi da incorniciare, come Alligator e Boxer. E dal vivo, quando imbroccano la serata come stasera, hanno il potere di farti tornare a casa felice e malinconico allo stesso tempo. Non ci riescono in tanti.
Scaletta:
Squalor victoria
I should live in salt
Don’t swallow the cap
Bloodbuzz Ohio
Mistaken for strangers
Demons
Sea of love
Afraid of everyone
Conversation 16
I need my girl
This is the last time
Baby, we’ll be fine
Abel
Slow show
Pink rabbits
Sorrow
Graceless
About today
Fake empire
Encore:
Heavenfaced
Humiliation
Mr. November
Terrible love
Vanderlyle crybaby geeks (acustica)
Giovanni Ansaldo lavora a Internazionale. Si occupa di tecnologia, musica, social media. Su Twitter: @giovakarma
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it