10. Rat saw god, Wednesday
Strana creatura, i Wednesday. Questa giovane band di Asheville, in North Carolina, unisce la furia sonora di un gruppo noise a una certa malinconia. È capace d’impennate improvvise, con muri di chitarre e batteria, ma anche nei momenti di quiete apparente sa essere minacciosa. Merito anche dei testi della cantante Karly Hartzman, che pennellano piccole storie di desolazione ambientate nel sud degli Stati Uniti. Ascoltate per esempio Bull believer, il secondo brano in scaletta nel loro quinto album, Rat saw God. Il pezzo cita il videogioco Mortal kombat mentre descrive quadri familiari poco rassicuranti a base di alcol e droga, evocando un lutto collettivo.

Altrove la band si muove in territori più melodici: Chosen to deserve, per esempio, sembra un pezzo country suonato dai Sonic Youth. I Wednesday sono molto interessanti, perché sanno come creare turbamento senza mai essere eccessivi e andare troppo alla ricerca degli effetti speciali. E Hartzman sa scrivere, eccome se sa scrivere.

9. Radical romantics, Fever Ray
La cantante svedese Fever Ray a volte fa un po’ paura, perché nasconde il suo volto dietro maschere grottesche e parrucche. Ma in realtà dietro questa estetica horror c’è una musica complessa, dolce, che canta l’amore da una prospettiva originale. Fever Ray, che in passato ha fatto parte del duo The Knife insieme al fratello Olof, è una persona non binaria e unisce la musica all’impegno politico, una cosa che succede anche in Radical romantics.

Vi consiglio di guardavi anche i video, come quello del brano Kandy, in cui Fever Ray interpreta due personaggi grotteschi e fa la lap dance per se stessa. Non c’è niente di simile in giro. Sembra una frase fatta, ma è così.

8. Hit parade, Róisín Murphy
Negli anni novanta la cantante irlandese Róisín Murphy è stata la voce dei Moloko, ottima band a cavallo tra elettronica e pop. Da tempo però ha avviato una solida carriera solista, con dischi che si sono spostati un po’ di più verso la sperimentazione, pur conservando un notevole gusto per la melodia.

Hit parade si potrebbe definire un album di soul decostruito. Murphy è alle prese con suoni vintage manipolati da lei e dj Koze, con tecniche prese dall’elettronica e dal rap contemporaneo, mentre in Fader, forse il pezzo migliore, sembra una specie Nina Simone venuta da un’altra galassia. Ogni tanto Murphy si concede qualche svolazzo e autocompiacimento di troppo, e si perde per strada una scrittura che avrebbe dovuto essere più a fuoco. Ma certi eccessi le si possono perdonare.

7. Love in exile, Arooj Aftab, Vijay Iyer, Shahzad Ismaily
Ho un debole per Arooj Aftab, cantante statunitense di origine pachistana. Il suo disco del 2021, Vulture prince, mi aveva folgorato, e aspettavo con ansia il suo ritorno. Love in exile è però un progetto realizzato insieme a due musicisti con i quali Aftab si esibisce da anni, il pianista Vijay Iyer e il polistrumentista Shahzad Ismaily.

Love in exile unisce l’ammaliante cantato in urdu di Aftab al jazz, all’elettronica e all’ambient, e suona come una lunga passeggiata dentro un banco di nebbia, in cui si entra piano piano a partire dall’iniziale To remain/To return e dal quale si esce con la conclusiva To remain/To return.

6. Cracker island, Gorillaz
La musica dei Gorillaz è come un luna park. Ogni canzone è un’attrazione diversa, con suoni e colori inaspettati, e viene da ascoltarla con l’ingenuità di un bambino. Succede anche in Cracker island, l’ottavo album della band virtuale guidata da Damon Albarn. Come sempre capita con i Gorillaz, Albarn ha radunato in studio una serie di ospiti d’eccezione, come per esempio il bassista virtuoso Thundercat, la cantante dei Fleetwood Mac, Stevie Nicks, e i Tame Impala, che sono il motore di New gold, insieme al rapper Bootie Brown.

Albarn, che è famoso anche per essere il leader dei Blur, dimostra come al solito di essere aggiornatissimo sulle ultime tendenze, visto che ha chiamato anche la popstar portoricana Bad Bunny. Il pezzo più bello del disco però è Skinny ape, quello dove Albarn, o per meglio dire il suo alter ego virtuale 2D, canta da solo e fa una specie di appello alle nuove generazioni. Cracker island è uno dei migliori album dei Gorillaz, forse il migliore dai tempi di Plastic beach.

5. Oh me oh my, Lonnie Holley
La vita dell’artista e musicista Lonnie Holley, 73 anni, si commenta da sola. Holley è nato nel 1950, settimo di 27 figli, durante l’epoca delle leggi razziali a Birmingham, in Alabama. Ha raccontato di essere stato barattato con una bottiglia di whisky quando aveva quattro anni. Ha cominciato a fare il lavapiatti a cinque anni, ha lavorato in un cimitero e nei campi di cotone.

Holley è arrivato all’arte in un secondo momento della sua vita. E si è avvicinato alla musica solo nel 2006, quando ha cominciato a improvvisare brani in una chiesa, usando solo una tastiera e un microfono. Ma ha un talento musicale immenso: tutti i suoi dischi, che mescolano la musica nera con divagazioni quasi new age e sono intrise di psichedelia, sono splendidi. Il suo ultimo lavoro, Oh me oh my, ha ospiti d’onore come Michael Stipe, Bon Iver e Moor Mother, tra gospel e arrangiamenti elettronici. Una delle sorprese dell’anno.

4. Integrated Tech Solutions, Aesop Rock
In un anno non particolarmente brillante per il rap mainstream, è stato quello indipendente a offrire gli spunti più interessanti. Oltre al già citato Billy Woods, va aggiunto al lotto del 2023 anche Aesop Rock, rapper di Long Island, New York.

Il suo nono disco, un concept album sul rapporto tra esseri umani, tecnologia e consumismo, si prende il lusso di usare lo scratch nel 2023 senza sembrare attempato, e contiene una delle riflessioni più brillanti dell’anno sulla creatività (la spassosa Pigeonometry). Un album di rap intelligente, senza machismi inutili.

3. False Lankum, Lankum
I Lankum riescono a suonare la musica tradizionale irlandese (che è sempre meravigliosa) con la cattiveria di una band metal, la capacità ipnotica del post-rock e un senso di minaccia incombente che fa pensare al primo Nick Cave.

False Lankum è la solita commistione tra pezzi scritti da altri e brani originali (solo due), che si apre con Go dig my grave, una meravigliosa interpretazione del classico del folk The butcher’s boy, storia di una ragazza che s’impicca per amore. False Lankum è un disco misterioso, frutto di un grande lavoro di recupero di temi e stilemi del passato.

2. Did you know that there’s a tunnel under Ocean Blvd, Lana Del Rey
C’è una canzone nell’ultimo album di Lana Del Rey che riassume le sue qualità: s’intitola A&W, che sta per american whore. Ed è un concentrato di decadentismo, gusto rétro e tinte da road movie. Poco importa se il personaggio dipinto nei brani di Del Rey, una donna disperata e spesso in balia dei suoi amanti, è credibile o no. Poco importa se le storie raccontate in queste canzoni sono vere (spesso lo sono). Quello che conta è che ogni volta, anche se con alti e bassi, ogni disco della cantautrice statunitense crea mondi, li fa collassare gli uni sugli altri, e omaggia il canzoniere americano, senza dimenticare la contemporaneità.

Le canzoni di Did you know that there’s a tunnel under Ocean Blvd girano attorno a un pugno di accordi, come se fossero fuoriuscite da un sogno. Al solito, Lana Del Rey non inventa niente. Rimastica, rielabora. Ma creare canzoni affascinanti con pochi e semplici elementi non è facile. Ogni anno che passa, Del Rey conferma di essere una grande cantautrice.

1. Maps, Billy Woods e Kenny Segal
Billy Woods non è molto famoso, ma oggi è uno dei migliori esponenti del rap underground statunitense. Molto schivo, non ama le situazioni affollate. In questi anni ha pubblicato dischi notevoli: Hiding places nel 2019; Brass, registrato insieme alla rapper e performer Moor mother; ma anche i più recenti Aethiopes e Church. Maps, realizzato con il produttore Kenny Segal, è ispirato proprio al tour di Billy Woods in Europa e caratterizzato da brani brevi, a volte molto brevi, che ben esprimono la frammentarietà della vita on the road.

In Maps non c’è la solita celebrazione della vita da star, con tanto di elenco delle donne conquistate e delle bottiglie di champagne stappate. Woods dipinge la realtà con crudo surrealismo, facendo spesso citazioni colte (Toni Morrison, William Burroughs, Matisse). Nell’esprimere il suo disagio tocca vette di assoluta poesia (“Non dormo, volteggio, giro fuori da me stesso, guardando il mio corpo sopravvivere”, rappa nella cupa Hangman). I passaggi in cui racconta il disagio di essere un nero in mezzo agli hipster bianchi sono un saggio di cinismo, mentre la produzione di Kenny Segal gli cuce sempre il giusto vestito addosso.

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