“Era la stagione dei tuoni. L’aria odorava di violenza messicana, di uragani o colpi di stato. C’erano tuoni mattutini provenienti da cieli burrascosi e indecifrabili, messaggi cupi e sinistri da cittadine del sud della contea dove nessuno era mai stato. E tuoni di mezzogiorno da cumuli solitari a zonzo per cieli altrimenti sereni. E c’erano i tuoni più seri di metà pomeriggio, con onde compatte di nuvole verde mare ammassate a sud-ovest, con il sole che si faceva più vivido e il caldo più pesante come se sapessero di avere poco tempo. E il grande spettacolo di una bella esplosione serale, con temporali ammassati in tutti gli ottanta chilometri del raggio d’azione del radar come grossi ragni in un barattolo, nubi che si rimandavano boati dai quattro angoli del cielo, e ondate di gocce grosse come monete che arrivavano simili a pestilenze, mentre il paesaggio alla finestra diventava bianco-e-nero e sfocato, alberi e case vacillavano fra i lampi, i bambini con costumi da bagno e asciugamani fradici si precipitavano in casa come profughi. E poi i rulli di tamburo nel cuore della notte, il fracasso dell’artiglieria dell’estate in marcia”.–Jonathan Franzen, Le correzioni

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it