Il primo a dare la notizia è stato proprio lui, Bill Emmott, su Twitter: “Evviva! Il tribunale di Milano ha respinto l’appello di Silvio B. Risultato: Economist 3
Silvio 0”.
Emmott è stato a lungo direttore dell’Economist, e lo era nel 2001, quando il settimanale britannico pubblicò la famosa copertina in cui Silvio Berlusconi veniva definito “inadatto a governare”. Per quella copertina il premier italiano querelò l’Economist, e perse in primo grado nel 2008. Berlusconi aveva perso anche un’altra causa contro il settimanale, per una lettera aperta in cui gli veniva chiesto di rispondere ad alcune domande sui suoi affari.
L’Economist non ha mai nascosto la sua opinione su Berlusconi. O sul socialista Hollande, definito “piuttosto pericoloso”. In un
articolo uscito l’anno scorso proprio sul settimanale britannico, Jay Rosen, della New York university, spiegava che è arrivato il momento di liberare i giornalisti dalla camicia di forza dell’imparzialità e smettere di far finta che non abbiano opinioni.
Bisogna “abbandonare l’ideologia dell’assenza di punti di vista e accettare il fatto che i giornalisti hanno delle opinioni, pretendere da loro degli standard di accuratezza, correttezza e onestà intellettuale, e usare la trasparenza, più che l’obiettività, come base su cui costruire un rapporto di fiducia con i lettori”.
Concludendo il breve articolo in cui ha dato la notizia della sentenza di Milano, l’Economist ha scritto: “In tutti gli anni in cui Berlusconi è stato al potere, l’economia italiana è cresciuta più lentamente di quella di qualsiasi altro paese del mondo eccetto la Libia e lo Zimbabwe. Forse avrebbe dovuto concentrarsi di più su questo”. Difficile dar torto all’Economist.
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