Fa un certo effetto, dopo aver letto l’articolo sul disastro in Bangladesh e aver fissato a lungo il commovente abbraccio tra i due operai del Rana Plaza, girar pagina e trovare la pubblicità della Benetton.–Michele Merelli

Caro Michele, la pubblicità ci aiuta a pagare i diritti di riproduzione di articoli come quello del Wall Street Journal a cui lei fa riferimento (e anche a non aumentare il prezzo di copertina del giornale). Sono proprio inchieste di quel tipo, e l’eco che hanno avuto, ad aver spinto la Benetton, e altre aziende del settore dell’abbigliamento, a impegnarsi pubblicamente per migliorare le condizioni di lavoro negli stabilimenti in cui si producono i vestiti.

La Benetton fa pubblicità sui giornali di tutto il mondo, su Internazionale come sul Wall Street Journal, per promuovere i suoi prodotti. Ma non credo che lei chieda – o si auguri – la chiusura della Benetton, un fatto che tra l’altro avrebbe come conseguenza il licenziamento di migliaia di dipendenti. Penso invece che tutti dovremmo pretendere dalla Benetton e dalle altre aziende il rispetto dei diritti dei lavoratori, anche di quelli che lavorano per i loro fornitori all’estero. Uno dei problemi della pubblicità è che può rischiare di condizionare le scelte editoriali dei giornali che la ospitano.

E quindi il fatto grave sarebbe stato se lei su Internazionale avesse visto la pubblicità della Benetton accanto a un articolo in cui si parlava del disastro in Bangladesh senza nominare l’azienda di Treviso. Nei giornali indipendenti, i giornalisti lavorano in completa autonomia rispetto alla concessionaria di pubblicità. Finché su un giornale troverà degli articoli in cui si parla criticamente degli inserzionisti, può stare tranquillo che i giornalisti sono liberi, e quindi in definitiva lo sono anche i lettori.

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