“Poco tempo fa, svegliandomi nel mio letto in Messico, lessi su un giornale che avevo tenuto una conferenza di letteratura il giorno prima a Las Palmas di Gran Canaria, dall’altra parte dell’oceano, e lo zelante corrispondente aveva fatto non solo una cronaca dettagliata della cerimonia, ma pure una sintesi molto suggestiva della mia esposizione. Tuttavia, il fatto per me più lusinghiero fu che gli argomenti dell’intervento erano molto più intelligenti di quel che mi sarebbe potuto venire in mente, e il modo in cui erano esposti era molto più brillante di come io ne sarei stato capace. C’era solo un errore: io non mi ero trovato a Las Palmas né il giorno prima né nei ventidue anni precedenti, e non avevo mai tenuto una conferenza su un qualche argomento in qualche parte del mondo. Accade spesso che si annunci la mia presenza in luoghi dove non mi trovo. (…)

La colpa non è di nessuno, perché esiste un altro io che gira libero per il mondo, senza controllo di alcun genere, facendo tutto quel che uno dovrebbe fare e che non osa. L’altro io non mi incontrerà mai, perché non sa dove abito, né come sono, né potrebbe immaginare che siamo tanto diversi. Continuerà a godersi la sua esistenza immaginaria, abbagliante ed estranea, col proprio yacht, con l’aereo privato e i palazzi imperiali dove fa fare il bagno nello champagne alle sue amanti dorate e sconfigge a suon di cazzotti i principi suoi rivali. Continuerà a nutrirsi della mia leggenda, ricco fino all’inverosimile, giovane e bello per sempre e felice anche nelle lacrime, mentre io continuo a invecchiare senza rimorsi davanti alla macchina da scrivere, estraneo ai suoi deliri e ai suoi spropositi, cercando ogni sera gli amici di tutta la vita per farci la solita bevuta e rimpiangere sconsolati l’odor di guayaba. Perché la cosa più ingiusta è questa: che l’altro è quello che si gode la fama, mentre io sono quello che si frega vivendo”.

Gabriel García Márquez, Il mio altro io, da *Taccuino di cinque anni (Mondadori 1994).

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