“Nell’articolo di copertina del numero sulla Mauritania compare almeno tre volte l’espressione ‘reato penale’. È improprio e ridondante. Esistono gli illeciti civili, amministrativi e penali. Questi ultimi si dicono reati”, ci scrive un lettore.
“Quando si parla di ‘reato’, la specificazione ‘penale’ è inutile”, precisa un altro. Hanno ragione. Insomma, scrivere reato penale è un po’ come scrivere giornaliste donne o fine definitiva. Di queste locuzioni sovrabbondanti è pieno il mondo. Ci sono i protagonisti principali, le basi fondamentali, i progetti futuri e i singoli individui. Più che sbagliate, sono informazioni inutili. Spesso nascono dal tentativo di dire di più e meglio. Ma non funzionano, soprattutto quando diventano un’abitudine.
È come se per farci ascoltare ci mettessimo a urlare sempre più forte: dopo un po’ nessuno capirebbe più niente e tutti scapperebbero via. Aggettivi, avverbi e modi di dire soccorrono gli urlatori in difficoltà: così un
vero e proprio capolavoro è più di un capolavoro e un’autentica bugia è ancora più falsa, anzi assolutamente falsa, perché falsa non è abbastanza.
Intendiamoci, ribadire un concetto non è per forza sbagliato, anzi aiuta a ricordarlo meglio. Contro gli eccessi delle ridondanze, la cura è questa: togliere, togliere, togliere.
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