Prima “Happy gay”. Poi “Papatrac”. Non staremo esagerando? Ogni tanto un titolo che strizza l’occhio al lettore giocando con le parole ci può stare. Ma non deve diventare un’abitudine. “Dev’essere una sorpresa che suscita un sorriso e lusinga l’intelligenza del lettore”, spiega il manuale di stile del New York Times.
Insomma, deve funzionare non solo per come suona, ma anche per quello che dice. Fare titoli che giocano con le parole è divertente. Eccone alcuni dall’archivio delle nostre copertine: “Assoldati” (n. 479, le milizie private in Iraq); “Napoli e sangue” (n. 570, la camorra a Napoli); “I predatori dell’arte perduta” (n. 643, opere d’arte trafugate); “Internet ergo sum” (n. 831, come la rete ci cambia la vita).
A quanto pare i leader religiosi stuzzicano la nostra creatività: in poco più di tre anni abbiamo messo a segno un “Papaturk” (n. 670, sul viaggio di Joseph Ratzinger a Istanbul), un “Bonsai Lama” (n. 746, sulla saggezza del dalai lama) e un “Dalai Obama” (n. 834, dopo l’incontro con il presidente degli Stati Uniti). Non siamo gli unici: nel supplemento con le prime pagine dei giornali spicca il “Papus interruptus” di Libération.
L’8 aprile 2005, il giorno dei funerali di Giovanni Paolo II, il quotidiano francese aprì con un memorabile “Pope star”.
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