Aaaammm, dice Satomi Yai al suo cane Airu (Internazionale 1001, pagina 104) per fargli aprire la bocca. Ma quando sono nella loro casa di Itō, in Giappone, Satomi dice aaan. E quando Airu le morde la mano dice itai, non aahii!

Le parole che servono a rappresentare rumori, azioni o sensazioni vanno tradotte come tutte le altre, perché sono diverse da cultura a cultura e da lingua a lingua. Perfino quando imitano lo stesso suono. Airu, per esempio, abbaia come tutti i cani del mondo, ma in italiano fa bau bau e in giapponese wan wan. I linguisti le chiamano onomatopee.

L’italiano ha le sue: i treni fanno ciuf ciuf e chi beve fa glu glu. Ma usa anche parole inglesi spesso arrivate proprio attraverso i fumetti. Wowww, dice un passante stupito che ha appena visto un tizio sul cornicione di un palazzo (pagina 88). In inglese wow è un verbo che significa più o meno “fare grande impressione”, in italiano invece non vuol dire niente. Ma molti lo usano al posto del più genuino oh!, anche se non sanno l’inglese.

Il fumettista italiano Jacovitti usava onomatopee tutte sue che suggerivano un significato ai lettori italiani, come pùgno e spàro, o versioni italianizzate come bànghete. Ma ormai in Italia le pistole fanno solo bang (in inglese vuol dire “colpire”). Lo sanno anche i bambini.

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