Trentotto anni fa, il 17 luglio 1975, una navicella spaziale statunitense con a bordo tre astronauti, l’Apollo, e una sovietica con a bordo due astronauti, la Sojuz, si agganciarono nello spazio. Fu la prima missione spaziale nata dalla collaborazione tra Stati Uniti e Unione Sovietica.
Richiese anni di preparativi, durante i quali, tra le altre cose, gli astronauti statunitensi dovettero imparare il russo, e i russi l’inglese. Le comunicazioni tra le due navicelle dovevano essere il più possibile chiare e immediate, così fu stabilito che l’equipaggio statunitense avrebbe parlato sempre russo, e quello russo sempre inglese. Chi parla una lingua straniera, infatti, ha il vantaggio di sapere cosa sta per dire: deve solo fare un lavoro di traduzione. Chi l’ascolta, invece, deve prima tradurre e poi assorbire le informazioni.
È un principio che vale anche nella comunicazione tra persone che parlano la stessa lingua, e che noi giornalisti, quando scriviamo, dovremmo tenere a mente:
noi conosciamo l’argomento di cui stiamo parlando, quindi noi dobbiamo rendere il messaggio comprensibile per chi ci legge, senza dare nulla per scontato. Solo se ci sforzeremo di scrivere nella lingua dei nostri lettori, forse alla fine dell’articolo potremo dire: missione compiuta.
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