Lydia Cacho, Schiave del potere

Fandango, 320 pagine, 20,00 euro

Una minorenne cambogiana che si prostituisce guadagna 75 euro a settimana, mentre al suo sfruttatore ne procura tremila. Alla luce di dati come questo, si capisce perché lo sfruttamento sessuale sia la forma più diffusa di un fenomeno in crescita, la tratta delle persone, e perché non ci sia mafia al mondo che non sia coinvolta in questa industria così redditizia. Rispetto ad altri tipi di sfruttamento, quello sessuale però richiede un assoggettamento mentale, un’ideologia che per condizionare le donne e i bambini sfruttati si nutre di pregiudizi largamente diffusi nelle famiglie e nelle società.

Questi preconcetti, talvolta condivisi da vittime e carnefici, rendono più difficile separare due fenomeni assai diversi: la vendita volontaria del proprio corpo e la schiavitù sessuale; la prostituzione e la costrizione alla prostituzione. Lydia Cacho indaga tutti questi aspetti nel suo reportage, chiarendo una dimensione non marginale della globalizzazione attraverso storie raccolte in Medio Oriente, Asia, America Latina. Si trova così a intervenire nel dibattito tra chi pensa che la prostituzione va regolamentata e chi vuole abolirla perché incompatibile con i diritti umani. Lo fa schierandosi con gli “abolizionisti”, ritenendo che sia l’unico modo per eliminare il mestiere più antico del mondo, che – come spiega – non è quello della prostituta, ma dello sfruttatore.

Internazionale, numero 888, 11 marzo 2011

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