Steve Della Casa, Splendor

Laterza, 140 pagine, 14 euro

Nel 1975 Lo squalo fu campione d’incassi in tutto il mondo. Solo in Italia arrivò secondo, battuto da Amici miei, tanto che un perplesso Steven Spielberg si affrettò a comprare a scatola chiusa i diritti del film di Monicelli. La storia conferma che il cinema italiano ha ottenuto i risultati migliori quando, invece di imitare passivamente il cinema straniero (soprattutto statunitense), lo ha sfidato inventando soluzioni originali, destinate talvolta (come è avvenuto con i peplum, i western e le commedie) al successo planetario.

È una delle scoperte che si fanno leggendo queste pagine scritte da Steve Della Casa, brillante critico, direttore di festival e conduttore radiofonico. Emerge il complesso rapporto del cinema con la politica: dal lancio operato dal fascismo al ruolo avuto nella contestazione degli anni settanta, passando per la fondamentale esperienza di

Roma città aperta, quasi un simbolo della ripresa italiana sul piano internazionale dopo la seconda guerra mondiale. Gli anni ottanta, alla luce di alcune cruciali scelte politiche (la deregulation televisiva, l’uso clientelare dell’articolo 18) appaiono l’inizio della fine.

Prima di allora la distinzione tra cultura alta e cultura popolare non aveva avuto molto senso perché la condivisione di idee e persone tra queste due sfere era stata grande. Poi, qualcosa si è inceppato e ognuno ha cominciato a lavorare per conto suo.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it