Claudio Giunta, Una sterminata domenica. Saggi sul paese che amo

Il Mulino, 288 pagine, 16 euro

A giudicare dai vocabolari, pare che negli anni ottanta il significato della parola creatività in italiano sia cambiato: alla semplice e nobile “facoltà del creare” tipica dei pittori e dei musicisti si è affiancato un più vasto e sfuggente processo di ideazione applicabile a cantanti, stilisti e pubblicitari. Questa trasformazione, indice di un rimescolamento più generale tra cultura alta e cultura bassa che da allora non si è mai arrestato, impone delle scelte a chi la cultura la studia, la analizza e la giudica.

Tra il rimpianto del passato glorioso e l’accettazione indiscriminata della fuffa corrente, Claudio Giunta prova a percorrere una terza via. Si documenta, raccogliendo pareri, spesso andando a compiere sopralluoghi, e cerca di capire se negli ultimi – fatali – decenni in Italia ci sia stata una cultura al tempo stesso popolare e fatta bene. La risposta è sorprendente. Sì: c’è stata.

Le sue analisi di Elio e le storie tese, di Radio Deejay, del più antico Fantozzi suggeriscono regole per capire se e soprattutto perché alcuni prodotti sono migliori di altri. Coerentemente, dallo stesso trattamento di lettura ravvicinata e aperta, altre cose escono più malconce: certi corsivi tromboni, certi festival fatui, e il libro programmatico di Matteo Renzi, Stil novo, qui sottoposto a una lettura già pubblicata sull’inserto domenicale del Sole 24 Ore ma oggi tanto più utile, per tutti.

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