Gianluca Potestà, L’ultimo messia

Il Mulino, 252 pagine, 22 euro

Normalmente pensando ai profeti medievali si immaginano personaggi marginali, estranei al potere, pronti a infiammare le folle per promuovere ribellioni. In realtà, in quell’epoca la profezia fu più spesso impiegata per uno scopo diametralmente opposto: sostenere sovrani, imperatori, papi affermando che il loro arrivo, annunciato dalle sacre scritture, avrebbe portato a un rinnovamento radicale e all’instaurazione di una nuova gloriosa età di pace.

Impiegando questa prospettiva, lo storico del cristianesimo Gianluca Potestà ricostruisce con chiarezza e passione la storia dei testi profetici dal sesto al quattordicesimo secolo. Mostra i modi in cui ogni volta che una profezia era smentita occorreva aggiornarla tramite adattamenti che ne modificavano il racconto originario, fa capire al lettore come la lotta tra poteri diversi fu combattuta anche a colpi di annunci messianici e rivelazioni e infine come, nel corso di questa lotta, le cose cominciarono a cambiare.

Come dimostra la vicenda di Cola di Rienzo, che verso la metà del trecento volle restaurare la sovranità del popolo di Roma, quando si cominciò a ragionare frequentemente sul fatto che il potere e la giustizia derivavano dal popolo, si andò diffondendo anche un tipo di messianismo popolare che immaginava una sovranità collettiva capace di sanare le storture del mondo: un’idea dotata di grande futuro.

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